“THE BLUES BROTHERS”, QUEL FLOP DIVENTATO CULT

di LUCA SERAFINI – Sono passati 38 anni dalla morte di John Belushi, 40 dall’uscita della commedia cinematografica considerata dalla BBC la migliore di sempre per colonna sonora, “The Blues Brothers”. Un’eternità apparente per ricordare un attore che ha partecipato soltanto a 9 film nella sua breve carriera (lo stroncò un’overdose all’età di 33 anni nel 1982), 4 dei quali autentici flop, 3 modestamente affermati, uno perfettamente riuscito (“Animal House” fece dire al segretario di Stato americano Henry Kissinger, dotato di straordinaria ironia: “Questa pellicola cambierà la storia delle univeristà, ma non in meglio credo…”). E uno, “The Blues Brothers” appunto, diventato un cult assoluto per l’originale trama – celebrata persino dal giornale cattolico “Avvenire” e dall’organo di stampa ufficiale della Santa Sede, “L’Osservatore romano”), la comicità surreale e l’impareggiabile tappeto musicale che coinvolse fuoriclasse come James Brown, Aretha Franklin, Ray Charles, Cab Calloway, John Lee Hooker.

A far risorgere il mito di John Belushi è di nuovo la moglie, Judith Belushi Pisano, la quale già nel 2005 pubblicò una prima biografia fotografica del coniuge insieme con il giornalista Tanner Colby (vendette 3 milioni di copie), in contrapposizione al famosissimo “Chi tocca muore”, in cui il premio Pulitzer Bob Woodward raccontò la breve, sconvolgente vita della star del “Saturday Night Life”, il programma televisivo che rese celebri Belushi e l’inseparabile Dan Aykroyd. Quella prima biografia non è stata sufficiente a Judith Pisano per riscattare la controversa figura del marito, a suo dire descritta solo in negativo da Woodward. Penso invece che “Chi tocca muore”, ricco di testimonianze e prove raccolte in più di 2 anni di lavoro, descrivesse crudamente ma molto realisticamente la malsana esistenza della geniale star, contaminata da alcol e droga.

Il nuovo libro di Judith esce in questi giorni in America, celebrando i 40 anni dei “Blues Brothers” che uscì a giugno 1980 negli Usa, registrando un flop di critica e pubblico, e in novembre dello stesso anno in Europa e in Italia, dove invece polverizzò record su record al botteghino e incontrò il parere entusiasta dei critici, finendo con l’essere rilanciato e apprezzato anche in madrepatria qualche tempo dopo.

L’obiettivo di Judith è lo stesso di 15 anni fa, con un titolo che non lascia spazio a dubbi: “La biografia definitiva” e un passaggio inequivocabile colto in una recente intervista: «Rivelerò l’uomo tormentato, tranquillo e pronto a esplodere come fosse un cartone animato, dietro la facciata dell’attore irriverente e irrispettoso». In realtà l’operazione di Woodward (l’autore dell’inchiesta che gli valse il “Pulitzer” e portò allo scandalo Watergate in cui fu coinvolto l’allora presidente Usa, Richard Nixon) fu estremamente credibile, supportata da una documentazione inconfutabile.

John Belushi e i suoi “Blues Brothers”, puntualmente riproposti dalle nostre reti televisive ogni anno nel periodo di Natale, fecero irruzione nel cinema grazie a una rottura totale degli schemi tradizionali dei musical, mischiando azione (è tuttora il film della storia che detiene il record di automobili distrutte, in una memorabile scena di inseguimento attraverso le strade di Chicago), ilarità e anticonformismo quali mezzi per arrivare al nobile fine: raccogliere fondi per salvare l’esistenza dell’orfanotrofio di suore in cui i due fratelli protagonisti, Jake ed Elwood (Belushi e Aykroyd) erano cresciuti. E per questo soggetto, incontrando persino i favori del Vaticano.

John Belushi, che in tutta la durata del film toglierà i RayBan neri soltanto in una sequenza, sfonda nel gradimento popolare probabilmente proprio grazie alle caratteristiche ricordate dalla moglie, irrispettoso e irriverente ma determinato nel conseguimento del suo scopo, a qualsiasi costo. La faccia, le espressioni, le battute dirette e impertinenti – spesso e volentieri aggiunte di suo pugno alla sceneggiatura originale –, come in “Animal house” la celeberrima: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, lo hanno reso incancellabile nel tempo anche per mancanza di un erede all’altezza.

Del resto, quella coppia di scapestrati (Dan Aykroyd ancora sulla cresta dell’onda) era cresciuta in una generazione di fenomeni come Chevy Chase, Bill Murray, Donald Suterland, Robin Williams avendo come registi “sponsor” John Landis, Steven Spielberg e come amico fraterno Jack Nicholson. Il quale, accompagnando il fratello di Belushi, Jim (mattatore della serie tv “La vita secondo Jim” che è un successo mondiale da quasi 20 anni) a una prima teatrale del gruppo di attori novelli come quello citato, verso la fine degli anni Settanta, gli disse: «Stasera vedrai sul palco una serie di artisti con un grande futuro, ma l’unico fenomeno tra loro è tuo fratello».

Purtroppo, quando il gioco cominciò a farsi duro, il tenero ribelle John si arrese, non impedendo alla storia dello showbusiness di elevarlo al rarissimo, forse irripetibile caso di indimenticabile meteora, ricordato vivo a distanza di quasi mezzo secolo e di nuovo accolto come star, come un’aurea staffetta che passa di generazione in generazione.

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