STREMATI ALLA META: LE BEGHE SUL PRESEPE A SCUOLA

Ci sono delle scadenze obbligate, nel calendario lavorativo di un povero giornalista: che vi credete? Magari, vi immaginate che, in questo mestiere, passiamo il tempo a scoprire scandali Watergate, scrivendo di notte, a colpi di caffè e sigarette. Oppure che frequentiamo attrici e ballerine, descrivendone capricci e stravizi. Tranquilli: nove volte su dieci, la nostra vita è quella di un pacifico travet di provincia, turbata, di quando in quando, solo da qualche polemicuzza da poco o da qualche episodio di nera.

Per fortuna, come vi ho anticipato, ci sono dei crocevia prefissati, che, con cadenza esatta, vengono ad offrirci argomenti per un elzeviro un po’ più pepato o colorito. Una di queste è il Natale. Non per la stesura di sciropposi “amarcord”, in cui rimpiangere la foto col Babbo e l’asinello sul sagrato: mica siamo gente così, ohibò! Intendo dire che, a Natale, con ossessiva puntualità, si ripropone, anno dopo anno, la penosa questione del presepe a scuola. Ricordo che, qualche anno fa, la polemica riguardò il divieto di allestire un presepe, imposto, proprio a Bergamo, la mia città, da un burbanzoso dirigente scolastico in una scuola media di periferia. Si mobilitarono perfino nomi grossi della politica, per censurare o difendere la scelta, per vero un tantino draconiana, del preside; il quale, è bene dirlo, aveva alle spalle un passato non tanto luminoso, sia come estremista di sinistra che come spacciatore, la qual cosa aveva reso più interessante il dibattito. Poi, come sempre in Italia, tutto finì a tarallucci e vino.

Tuttavia, la diatriba presepe sì, presepe no, sia pure pochissimo appassionante, non ha smesso di dare lavoro a noialtri scribacchini: e, infatti, eccomi qua e commentarne l’ennesimo episodio. Perché, quest’anno, dal proibire la capannuccia, pare essere passati al “vietato vietare” di sessantottiana memoria: è nell’aria, infatti, una proposta di legge per impedire ai dirigenti scolastici di bloccare iniziative volte all’allestimento del presepe a scuola. Sembrerebbe una barzelletta, ma, giacchè le cose stanno proprio così, vediamo di affrontare la questione in maniera un pochino seria.

Per cominciare, dietro la zuffa sui presepi, si celano due visioni del mondo filosoficamente ed epistemologicamente, opposte. Le chiamerò “relativismo laico” e “identititarismo religioso”: se scrive così Veneziani e lo pagano bene, perché non anch’io?

I sostenitori della prima ci spiegano che molte sono le fedi sotto al sole e, siccome essere in Italia o in Botswana, da un punto di vista assoluto, è precisamente la stessa cosa, per rispetto di tutti non si deve celebrare niente e nessuno. E massime nella scuola, che deve essere laica, inclusiva, accogliente e tutte le altre cose che, se avete un figlio in età scolare, vi hanno solfeggiato ad abundantiam ad ogni riunione scolastica.

I partigiani della seconda rispondono che laico non significa laicista e che il presepe è un simbolo della nostra tradizione e della nostra identità, la quale, piaccia o no, fa riferimento da un paio di millenni al Cristianesimo.

A me paiono due risposte debolucce, giacchè a scuola di laico non c’è proprio niente: tutto l’impianto educativo trasuda norme e suggerimenti che denunciano un’ossessiva religione parallela, politica, spaventosamente bigotta nella sua applicazione ottusa di una correttezza più immaginaria che reale. La religione laica, se rendo l’idea.

Dall’altra parte, non è affatto vero che il presepe sia alla base della nostra identità: da me, per esempio, abbiamo sempre fatto l’albero e considerato la capanna, le statuette e perfino la carta mimetica per simulare la terra di Palestina, una cosa piuttosto idolatra. Per non parlare dell’effetto che mi fanno i servizi da Napoli sulle statuette di Maradona da mettere accanto ai pastori e alla Sacra Famiglia.

Insomma, le due tesi fanno acqua. Tuttavia, per tornare a bomba, la proposta di legge presentata in Senato dalla senatrice di Forza Italia Mennuni mi pare davvero una forzatura: una legge per impedire ai dirigenti di stoppare qualunque iniziativa di genitori, alunni o insegnanti, tesa ad allestire il presepe all’interno dell’edificio scolastico, sembra più una norma contro il Grinch che una cosa seria.

Intanto, perché esiste un’autonomia scolastica che, intendiamoci, è un’autentica schifezza, ma che pure è legge dello Stato. E, poi, perché una norma del genere sottintende una specie di avversione generalizzata dei presidi nei confronti del presepe, il che, spero, è frutto di una visione malevola del ruolo dei dirigenti e della loro preparazione ideologica e professionale. La scuola italiana è tendenzialmente di sinistra, verissimo. O, meglio, è eterodiretta dalla sinistra, che indirizza programmi e visioni educative, veicolati ai dirigenti in apposite sessioni di messa a punto, in cui fanno una specie di tagliando.

Però, se fossi un senatore, cosa che temo non accadrà mai, e dovessi proporre un testo di legge per emendare la scuola, prima di occuparmi di presepi vieterei ben altre spettacolari castronerie. Insomma, se il Senato è un monte, per metafora, direi che sta partorendo un topolino. E, sempre per metafora, mi pare che la cosa più legata alla nostra presente identità che compaia in un presepe siano il bue e l’asinello, benchè sprovvisti dell’opportuno laticlavio.

A me piacerebbe vivere in un Paese libero, in cui chi vuole farsi il presepe se lo possa fare senza ukaze in burocratichese di un preside o pipponi sul rispetto di tutti, mentre, chi se ne strafrega di Natale, Capodanno ed Epifania, sia liberissimo di passarli a guardare donne nude su internet.

Abbiamo troppi papi, troppi Torquemada, troppi Savonarola, troppi furbacchioni, qui in Italia. Aria, aria più respirabile ci vorrebbe. E anche noi giornalisti ci inventeremmo scadenze meno mosce, magari…

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