STADIO MILAN, QUEL CHE VA DETTO ALLA NIPOTE DI MATTEI

Non bastava un gruppetto di contestatori davanti al Comune con un lenzuolo imbrattato e 700 adepti sulla pagina Facebook, tutti radunati nell’etico club del “No stadio a San Donato”. Ora ci si mette anche la pia Rosalba Mattei la quale – al ricordo struggente delle domenica a messa con lo zio Enrico all’abbazia di Chiaravalle, a ridosso dell’area incriminata – invoca che si faccia un bel passo indietro nel progetto del nuovo impianto di proprietà del Milan (vedi immagine del rendering).

Facciamolo subito noi, un passo indietro. Lo zio di Rosalba, Enrico Mattei, fu il fondatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) nel 1953. Presente in 62 paesi con circa 32.200 dipendenti nel 2022, l’azienda è attiva nel settore del petrolio, del gas naturale, della chimica, della biochimica, della produzione e commercializzazione di energia elettrica da combustibili fossili, da cogenerazione (produzione contemporanea di energia e calore) e da fonti rinnovabili. Ogni anno si gioca con l’Enel il primato del gruppo italiano per fatturato. Secondo Greenpeace e non solo, trattasi di una delle aziende più inquinanti al mondo, ma tant’è: in questa sede non metteremo in discussione il colosso ENI e tanto meno una figura storica come quella di Enrico Mattei. Parliamo di energia, luce, gas… E chissenefrega dell’inquinamento.
Se vi capita di essere a bordo di uno dei circa 170 aerei che ogni giorno atterrano a Milano Linate, l’ultima cosa che vedrete dall’oblò è proprio San Donato: sulle teste dei suoi circa 32000 abitanti, in quel preciso momento il velivolo sta scaricando gli ultimi residui di carburante e gas della sua rotta. E sono i pazienti dell’eccellenza medica del “Gruppo San Donato” che possono sentire – circa ogni 6 minuti – il rombo dei motori in arrivo, senza nemmeno doversi alzare dal letto. In questa sede non metteremo in discussione un aeroporto e tanto meno l’utilità di averlo a 6 chilometri dal centro di Milano in linea d’aria. Inquinata, certo, ma chissenefrega: vuoi mettere la comodità?

Il problema grosso, quello vero da risolvere, casomai è il nuovo stadio del Milan. La pia Rosalba sottolinea infatti che l’abbazia di Chiaravalle “sia una cosa da tutelare: è un posto dove la gente va a pregare, dove i monaci hanno un’azienda agricola. E lo stadio porterà disagi. Non ci sono i mezzi per arrivarci, né parcheggi, e poi quando ci sono partite importanti a volte succedono incidenti fra i tifosi”.

Argomenti seri, concreti, non fosse che nessuno intende demolire l’abbazia, che metropolitana e mezzi pubblici stanno già attrezzandosi per l’eventualità (e alcuni già ci arrivano), che i parcheggi per 5000 automobili sono casualmente previsti nel progetto, che gli incidenti fra tifosi a Milano si contano sulle dita di una mano negli ultimi anni, trattandosi perlopiù di gruppuscoli. Schermaglie che peraltro non dovrebbero spaventare un’area degradata come quella dove il Milan vorrebbe costruire il suo stadio, nei dintorni della quale proliferano spaccio e altre attività correlate.

La pia Rosalba sottolinea di “non essere nessuno per dire se uno stadio si possa o non si possa fare”, però subito dopo aggiunge che non si deve fare: “Mi hanno chiamato in tanti per chiedermi di intervenire, lo hanno fatto ad esempio sulla pagina ‘Facebook’…  Ho scritto ai monaci e contattato anche l’arcivescovo di Milano Mario Delpini. E ho lanciato un appello al presidente rossonero Paolo Scaroni, che è stato anche presidente di Eni: “Caro dottor Scaroni, dovete fare lo stadio proprio qui? C’è tanto posto.. .Scegliete un’altra parte”. Amen.

Inoppugnabili argomentazioni ambientali, politiche, sociali, economiche, storiche, geografiche molto serie come potete constatare. Vien fatto di chiedersi come siano sopravvissuti fino ad oggi gli abitanti che popolano la zona adiacente San Siro, e poi le chiese, l’Ospedale San Carlo e la Clinica San Siro, tutte lì nei paraggi… Dev’essere un incubo.

In Italia la macchina per la costruzione degli impianti sportivi si mette in moto regolarmente quando si vincono le assegnazioni per le Olimpiadi, i Mondiali o gli Europei di calcio, insomma quelle gare in cui concorre il nostro Paese in cerca di prestigio, attrazioni, quattrini, risorse. Ecco la parola chiave: risorse. Ci ritorniamo tra un attimo. Prima diciamo che le Rosalba Mattei d’Italia non alzano un dito quando si disboscano ettari per costruire una pista da bob, si innalzano cattedrali nel deserto come per Italia ’90, si costruiscono stazioni ferroviare che poi restano inutilizzate, si fanno girare (e sparire) centinaia di milioni grazie a quelle manifestazioni, dopo di che passata la festa gabbato lo santo.

Riporto fedelmente da Wikipedia,a proposito dei Mondiali di Italia ’90: “La FIGC dovette affrontare la questione stadi, la maggior parte dei quali era giudicata inadeguata ad accogliere un simile evento; alcuni di essi vennero quindi riammodernati, mentre altri furono costruiti appositamente, in molti casi con interventi non strettamente necessari o scarsamente lungimiranti, che spesso produssero impianti destinati a rapida obsolescenza, poca flessibilità e funzionalità, esorbitanti costi di gestione. Ciò – unitamente agli abnormi costi complessivi, alle molte infrastrutture incompiute o destinate a precoce abbandono a manifestazione finita – non mancò di dar luogo a polemiche e inchieste, dovendosi inoltre registrare ben 24 morti sul lavoro. Si segnalarono anche 678 infortuni”.

Tra l’altro proprio tra San Donato e Linate, dalla Tangenziale Est di Milano è tuttora ben visibile – da 25 anni – lo scheletro di un monumentale hotel mai realizzato, progettato appunto per i Mondiali del ’90.
Intorno e all’interno dello stadio del Milan (che sarebbe ben visibile dalla tangenziale, optional che secondo le indagini di mercato varrebbe il 30% di marketing rispetto a un impianto cittadino) sono previsti bar, ristoranti, attività commerciali, un residence di circa 200 camere, un teatro auditorium per 3.000 spettatori, ma anche il museo del Milan e un parco Legoland che sarà collocato in una struttura al coperto dedicata a famiglie e bambini. Il Comune di San Donato Milanese, per tutto questo, incasserà il contributo di costruzione che in linea di massima, stando alle stime, dovrebbe aggirarsi sui 40 milioni di euro.

Torniamo, per concludere, a quel famoso vocabolo: risorse. Che significa opportunità, quindi per esempio la tanto anelata “sostenibilità”, posti di lavoro durante e dopo la costruzione, attrattive per turisti, fama crescente di San Donato che ospiterebbe l’impianto di uno dei club più famosi del mondo. Magari, chissà, con un bell’impulso anche all’attività agricola dei monaci dell’abbazia di Chiaravalle.

Vi prego di non ridurre il tutto a becere questioni di tifo, di campanilismo. Qualsiasi tifoso del Milan (e dell’Inter) sarebbe ben felice, strafelice, felicissimo di restare a San Siro nei secoli dei secoli. Poteva essere un’ipotesi percorribile se in questi 5 anni di dinieghi, minacce, ricattini, piagnistei, il sindaco Sala e la sua sonnecchiante giunta – incapace di essere in alcun modo propositiva – avessero sottoposto una qualsiasi sorta di idea alle due società.

Il nulla, invece. Così Milan (e Inter) passano dall’essere ostaggi della politica all’essere ostaggi di comitati, comitatini e delle Rosalbe di turno. Sempre e comunque di ostaggi parliamo: guai invece pensare a risorse e opportunità, come fanno in tutto il resto del mondo fuori dall’Italia. Guai!

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