Cominciamo con la soglia del dolore. Per un secolo e mezzo in campo se le sono date di santa ragione, tackle, sputi, spintoni, calci a palla lontana. Ci si alzava e alla prima occasione si restituiva. Adesso ti sfiorano il collo con un dito e ti accasci urlante con le mani in faccia (nemmeno sfiorata). Ti accarezzano il polpaccio e lanci versi strazianti come se ti avessero amputato un piede. Ti strusciano sul fianco e svieni piangendo. Jannik al massimo si tocca il ginocchio o il muscolo con un dito, si stringe appena il polso con l’altra mano, si passa un attimo l’asciugamano sul viso tra un saltello e un pugnetto.
Nulla assolutamente contro leoni, serpenti e madonne che sbucano dai colletti, dalle maniche, dai calzettoni e dai calzoncini, ma Sinner non ha tatuaggi e ha una retorica immagine pulitissima del bravo ragazzo, del bravo figlio.
Per il momento, niente gossip, niente capricci, niente videogiochi (distanza siderale dalla ludopatia), niente chiacchiere. Sorrisi in partita e abbracci con gli avversari, stimato, rispettato e benvoluto da tutti. Per il momento, niente insulti al di là della rete, nessuna protesta con gli arbitri, nessun gesto né smorfia al pubblico, nessuna provocazione. Nessuna polemica. Mai. Ed è arrivato sul podio del mondo.
Santo subito? Non scherziamo. Qualche difetto celato lo avrà pure lui, per esempio gli si sono scagliati contro per la residenza monegasca e la lontananza dal fisco italiano: somiglia però molto più a un’invidia che a una battaglia sociale. E casomai politica. Lo hanno scorticato quando non è andato in Nazionale per la Davis, nonostante le spiegazioni pubbliche del capitano Volandri: è tornato e la Davis l’ha vinta, mezzo secolo dopo La Squadra.
Parla di lavoro, sacrifici e famiglia. Esalta chi lo batte. Sottolinea i suoi difetti (e qualche pregio, certo). Quindi sì, sono d’accordo con Spalletti se – come percorso obbligato – lo indica ai suoi ragazzi ai quali, a parte gli Scalvini di turno, un bagno didattico di abnegazione, umiltà, tenacia che hanno portato un ventenne di montagna sulla vetta del mondo, non può che fare bene. Vale naturalmente anche per Spalletti, così come per presidenti (Gravina, tanto per dirne uno), dirigenti (Buffon, tanto per dirne uno) e allenatori. Un esempio così è buono per tutti, fino a prova contraria.