LA GIUSTIZIA VA IN PENSIONE

Mi sembra di vederlo, con lo sguardo triste e l’espressione malinconica, ma anche quel sorriso a tilde di chi parte per una lunga, ormai interminabile vacanza. È proprio lì, dritto in piedi nella mia immaginazione, sulla soglia del suo ufficio dove per decenni è entrato e uscito e adesso ha svuotato armadi, armadietti, scrivania ed è pronto per andarsene. Basta, via, finito: si va in pensione. “Qui è tutto a posto”, sembra pensare, tutto in ordine in quel locale vuoto dove filtra opaca la luce da una finestra sporca, dove adesso regna la polvere che traccia i confini di tavolo, sedie e mobili. Tocca a un altro, da domani. Tocca ad altri, ai giovani.

È qui che finisce la melodrammatica scena dell’addio alle armi del GIP milanese Guido Salvini. E inizia un altro film, “Fantozzi”. Perché è adesso che in quella stanza ormai vuota e male illuminata, entra il ragionier Ugo tenendo a fatica sulle braccia – e trainando con una gamba un carrello sommerso – cartelle, fascicoli, pratiche inevase. Come nei suoi film, come in tutti i suoi film.

Già. Perché quel Salvini lì, un po’ come faceva Calboni con Paolo Villaggio, ha lasciato qualche arretrato. Per la cronaca: 297 richieste di rinvio a giudizio dal 2019 al 2023 (di cui 40 da “codice rosso” per violenza domestica, stalking, abusi sessuali, pedopornografia, tentato omicidio). Due cosucce lasciate in sospeso? No, mica è finita: 90 opposizioni a richieste di archiviazione, più 900 per ignoti. Totale: circa 1300 pratiche impolverate e lasciate in eredità a loro, ai giovani, da domani tocca a voi.

Invece, al posto di un laureando in giurisprudenza è piombato in ufficio Filini, alias Aurelio Barazzetta, dirigente dell’ufficio del GIP, il quale ha dovuto comunicare al Consiglio Giudiziario un provvedimento urgente per sbrigare rapidamente almeno quella quarantina di codici rossi lasciati sul campo da Salvini.

Il quale non è che fosse proprio un giudice tra i tanti: consulente della Commissione parlamentare antimafia, di quella sul sequestro Moro e in passato anche quella sulle Stragi di Stato, autore di libri, saggi sull’antiterrorismo, indagini sulla bomba di Piazza Fontana.
È qui che questo scandalo – meriterebbe gli venisse almeno sospesa la pensione aspettando di capire – in verità si affloscia: se è vero che esistono ancora commissioni di inchiesta sul delitto Moro (1978) e sulla strage di piazza Fontana (1969), che colpe ha il giudice Guido Salvini per qualche arretrato (di cui adesso può tranquillamente occuparsi qualcun altro)?

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