SINNER DALLA FAVOLA ALLA STORIA

Qualche esperto in discipline meno popolari del calcio, che odiosamente nelle redazioni sportive chiamano “varie” o addirittura “sport minori”, si infastidisce quando il popolo si accende per qualche impresa, qualche nuovo astro che illumina il loro firmamento di nicchia. Quasi degli intrusi volessero immischiarsi in un loro affare esclusivo. Effettivamente succede che durante le Olimpiadi tutti diventino esperti di atletica, canottaggio, scherma, nuoto, pallavolo…

Succedeva che una volta la valanga azzurra laureasse tutti gli opinionisti in “sci”, oggi purtroppo la Goggia e la Brignone (due fuoriclasse) tirano meno, ahimè. Così accade ormai col tennis, dopo decenni di letargo dedicati a Djokovic, Federer, Nadal: di stelle tricolori finalmente ne abbiamo molte, la Coppa Davis rivinta dopo quasi mezzo secolo è lì a testimoniarlo, ma la cometa Jannik Sinner (quarto più forte al mondo) le guida e le illumina tutte.

Questo esile pel di carota è un gigante dolomitico, ha radunato intorno a sé l’Italia del divano: francamente la cosa non può disturbare né infastidire i soloni e gli specializzati del tennis, non deve. Entusiasmo e partecipazione, da che mondo è mondo, innaffiano e fanno crescere la pianta.

Quindi domenica mattina 28 gennaio 2024 “tutta l’Italia” – si dice così – davanti alla tv alle 9.30 del mattino: c’è la prima finale slam con protagonista un italiano dopo una vita, Australian Open, il nostro mostro con i capelli arancioni (che adesso sta diventando simpatico e sciolto anche davanti ai microfoni) contro il terzo al mondo, Medvedev che simpatico decisamente non è, non fa niente per diventarlo ed è pure russo che in questa epoca non aiuta. Sinner ci è arrivato da favoritissimo, perdendo un solo set in tutte le partite, ma l’avversario è tosto ed esperto.

Inizio in salita: 1-3, 2-4, 3-5, il ghiaccio di Jannik non si scioglie, il russo spicca il volo da un angolo all’altro, risponde con ferocia. Il primo set vola via 3-6 in poco più di mezz’ora. Il motore rosso della nostra Ferrari della racchetta tossisce annichilito.

Il secondo riparte ancora ripido, il nostro un po’ smarrito scuote la testa, chiama il tifo (quasi tutto per lui), cerca con gli occhi il suo staff, prova a variare il tema perché l’avversario gelidamente risponde colpo su colpo ed anzi conduce il ballo: il suo servizio non concede spazio, non lascia scampo, ci fabbrica 10 punti consecutivi. Peggio del primo: 1-4, non si vede la luce. Le smorfie, gli sguardi, la postura dei finalisti sono diverse, significative, sbilanciate. Si fa fatica anche dal salotto di casa. È 2-0 per il russo, ancora 6-3.

Parrebbe che nel terzo set l’asticella si riequilibri appena: si procede punto a punto, 1-1, 2-2, 3-3, 4-4 anche se Jannik dà sempre un’impressione di inquietudine marcata dalla sfinge russa, imperturbabile quando fa punto e quando lo subisce.

Poi quel sinistro presagio quando sul 4-4, 40 pari, Jannik si rivolge ai suoi inquadrato dalle telecamere: “Sono morto”. Pare risorgere, invece: 5-4, 30-0, si riapre? No, 3 errori di fila, nervoso, si sfilaccia, 30-40, poi si impenna, risale. Vince il terzo set: 6-4.

Il quarto è una danza sulle punte: il russo sembra stanco ma non molla, si gioca da 3 ore, Sinner incalza e i suoi occhi sono più vispi. La grinta rossa riaffiora tra le onde e sta sempre avanti nel punteggio: vai! 6-4, partita che comincia da zero, anzi da 2-2.

Ultimo chilometro, ultime stille di sangue e sudore. Medvedev si piega sulle ginocchia sfinito dopo uno scambio lungo, ma non illudetevi: non molla un colpo. La stanchezza comunque gioca un ruolo decisivo dopo 4 ore a braccio di ferro: Sinner allunga 4-2, la candela russa è alla fiammella, adesso serve il soffio. 5-2, in piedi sui pedali. Una tifosa bacia una carota: 5-3, lo striscione del traguardo. Braccia al cielo, Jannik, braccia al cielo: 6-3, il mondo si alza ad applaudire.

Si dice che quando un fuoriclasse gioca male e perde, torni umano. Penso che a parità di mezzi, talento e condizione, la differenza la faccia spesso la testa. La certezza è che quella di Sinner è tutto, fuor che una favola: è una storia, appena cominciata. E continua.

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