SIAMO TUTTI SANTANCHE’

Come faccia una come la Santanchè a diventare ministro in una Repubblica considerata fra le prime al mondo è già di suo un mistero irrisolvibile. Ma come faccia a restarlo anche adesso è anche più inspiegabile.

Ormai la sua permanenza ai massimi livelli dello Stato è un problema per tutti, non certo una fisima di questa sinistra accigliata e moralista, forte delle sue Fedeli e dei suoi Soumahoro. Il problema riguarda la dignità e la consistenza di uno Stato che mantiene al posto di ministro una persona che con questo stesso Stato ha enormi contenziosi aperti, primo fra tutti un certo debito col fisco (per quelli che seguono poco, è bene ricordare che non sono dicerie da “Report”, ma fatti reali e assodati, come dimostra l’estrema richiesta della stessa Santanchè di spalmare il debito della sua società “Visibilia” in dieci anni, povera gioia).

Naturalmente ne abbiamo viste talmente tante che sembra piuttosto inevitabile non notare più lo stridore. Qualcuno si ostina a chiamarlo conflitto di interessi, ma in Italia ormai l’espressione effettivamente fa piegare in due dal ridere tutti quanti. Rimanendo alla larga dai dibattiti sofisticati che piacciono ai legulei e agli azzeccagarbugli, già abbastanza classificati dal vecchio Manzoni, noi cittadini dovremmo fermarci a una spontanea indignazione, perchè va bene tutto, il garantismo il perdonismo il benaltrismo, ma se un ministro dello Stato in bega legale con lo Stato non ci suscita il minimo fastidio, il minimo imbarazzo, significa che siamo tutti un po’ Santanchè. Non è una questione personale, è una pura e semplice questione di opportunità, di principio, di etica, chiamiamola come ci pare, ma di questo si parla. Al momento, per dirla grossolana, siamo nel filone della faina messa a guardia del pollaio, o giù di lì. Niente da dire, niente da ridire?

Naturalmente lei, la Santa donna, sta sfoggiando in questi giorni tutta la sprezzante sicurezza, tutta la sarcastica alterigia che dalle sue parti si usano in certe situazioni. Per il 5 luglio, quando dovrebbe riferire in Parlamento, annuncia che un sacco di gente là dentro dovrà andare a nascondersi. Nell’attesa, anche moltissimi della sua parte, per fortuna, non spendono neanche uno starnuto per difenderla: certo ci giocano invidie personali e giochini politici, ma resta la sostanza di una nutrita presa di distanza.

Resta inteso che comunque la Santanchè nemmeno si pone l’ipotesi di lasciare il suo posto, anche per non inquinare il governo con una questione comunque tossica. Dalle sue parti, in un certo mondo, hanno la spiegazione pronta: sarebbe come dare ragione alle basse insinuazioni. Di più, ricorrendo alla solita mistica della missione suprema: si resta al proprio posto per senso dello Stato. Lo Stato che fa senso.

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