SI FA PRESTO A DIRE “PARLATENE”: I GENITORI SONO SEMPRE GLI ULTIMI A SAPERE

Dunque, dall’inizio dell’anno sono state uccise più di cento donne. E allora come mai la morte di Giulia Cecchettin sembra fare più rumore delle altre? Perché è l’ultima ed è appena capitata la tragedia?

No, non credo.

L’omicidio di Giulia era atteso, era il timore generale già una settimana fa.

Questo significa che siamo tutti perfettamente consapevoli di quale possa essere lo sviluppo, purtroppo tragico, di certe dinamiche di coppia.

E allora oggi, nel momento del dolore, voglio provare a capire cosa posso fare, fin da subito, io genitore di figlie femmine. Ho solo due figlie ma, tanto per essere chiari, non cambierebbe se fossero maschi.

Gli psicologi (molti i commenti letti in queste ore) dicono che bisogna esserci per i propri figli, ascoltarli, sapere cosa fanno. Ecco, già questo è più difficile in quest’epoca moderna rispetto al passato: le comunicazioni viaggiano sul cellulare e un genitore difficilmente sa con chi parla il proprio figlio.

Ai mie tempi se un ragazzo voleva parlare con me chiamava il telefono fisso (c’era solo quello) e non sempre rispondevo io; certe volte era mia madre a sollevare la cornetta e al giovanotto dall’altra parte toccava dire: “Buongiorno signora, sono Tizio, posso parlare con….”. Non che così si potesse conoscere granché di chi mi stava cercando, ma almeno la voce, il nome. E poi la mamma mi chiedeva: “Chi era al telefono?”, e una risposta bisognava darla. Preistoria.

Oggi io ci provo a sapere qualcosa della vita delle mie ragazze, e sì, talvolta mi raccontano. Ma anche questa indagine va fatta con cautela perché se insisti troppo si chiudono a riccio e non ti dicono più niente. Fra te e la loro vita c’è il PIN del cellulare, anche se giuro che mai ho preso in mano il loro telefono.

Poi c’è un altro tema. Dice il papà della povera Giulia (incredibilmente lucido in queste ore, non so come ci riesca): “Ragazze, se avete il minimo dubbio parlate con la mamma, il papà, una sorella….”, ma il problema è che nel momento in cui una ragazza è sentimentalmente coinvolta con quella certa persona, potrebbe non vedere il pericolo, non accorgersi di cosa sta succedendo.

E siamo al dunque: bisogna educare al riconoscimento dei segnali pericolosi non solo i giovani, maschi e femmine, ma anche e forse soprattutto chi sta intorno a loro. I genitori, gli insegnanti (questo è quello che dovrebbero spiegare nella famosa ora di educazione sentimentale da introdurre a scuola), perché solo chi è lucido vede bene la dinamica tossica e può, in qualche modo, provare a intervenire, a mettere in guardia.

Se istituissero un corso per imparare a riconoscere i germi della follia, che come abbiamo visto può nascondersi anche in soggetti definiti “bravi ragazzi”, mi iscriverei immediatamente.

E se, come me, lo seguissero in tanti, forse qualche tragedia si potrebbe scongiurare.

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