E’ quello che accade a Gianluigi Buffon, di classe immensa, ma di classe anagrafica 28 gennaio 1978. Sarebbe ora di uscire, non più dalla porta, domicilio della sua infanzia, adolescenza, maturità e mezza età, dedicandosi ad altro, cura dei figli, turismo, lettura di libri, visita di musei e città d’arte, apertura di scuole calcio, esilio, silenzio.
Siamo alla vigilia dell’annuncio, forse, chissà. Lo aveva scritto Umberto Saba: “il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce…”.
Al di là dell’afflato poetico ritengo che ci sia appunto la considerazione doverosa: perché continuare tra la compassione degli astanti e lo sforzo, nello stacco e nello scatto, che non può essere più tale? Perché raccogliere gli ultimi denari con la scusa della passione?
Se così fosse, e non riguarda soltanto Buffon, perché tali campioni non si dedicano per pura passione al calcio minore, ad andare per campi di periferia, in borghi sperduti a insegnare e spiegare che razza di sport sia diventato il football e come sia stato bello, massì, l’odore dell’olio canforato e il rumore dei tacchetti nello stanzone che odorava, meglio scrivere puzzava, di ogni?
Passo al personale: dai Gianluigi, smettila in rispetto alla tua storia maestosa, alla belle époque, al mondiale di Germania, al bidone di spazzatura, al trasferimento dall’Alena all’Ilaria, ben più importanti di Canaletto, Perticata, Bonascola, Parma, Juventus, Paris Saint Germain, siti del tuo lavoro, hai già dato moltissimo e preso altrettanto, adesso anche gli arabi vorrebbero assumerti nel loro circo di bestie varie e rare, capisco che trenta milioni sull’unghia, le tue sono sacre, farebbero perdere la testa anche a un Ronaldo qualsiasi: ma, per favore, non fare il patacca, fine della storia bellissima, at salùt calcio dei migliori anni della tua carriera. Mi raccomando, chiudi la porta.