SE URLARE “VIVA L’ITALIA ANTIFASCISTA” E’ DA SOVVERSIVI

Lo chiameremo il sedizioso Vizzardelli, Vizzardelli Marco. Parlo del facinoroso sovversivo che alla prima stagionale della Scala ha intonato il suo grido di battaglia: ‘viva l’Italia antifascista’. Il direttore Chailly pare abbia commentato bonariamente che le note erano tutte al posto giusto, qualche oretta a fianco del direttore del coro e Vizzardelli è pronto per essere arruolato in qualche opera che preveda animi accesi e possibilmente azioni rivoltose.

Il Vizzardelli è un giornalista mite, così appare almeno ma vai a fidarti, uno che alla passione per la musica e per l’Opera in particolare affianca quella per i cavalli, di cui scrive regolarmente e anche qui converrà andare a scandagliare bene i suoi articoli, facile che tra le righe si possa scorgere il pericoloso fanatico che l’urlo nel tempio della musica ci ha rivelato.

Che poteva fare la Digos, se non accorrere sorniona e accerchiare l’agitatore, pretendere le credenziali e tarpare le ali alla provocazione in corso. Che potevano fare gli agenti della “polizia politica” se non intervenire, il dovere è dovere, si obbedisce, nella fattispecie al Ministero dell’Interno, dal quale dipendono direttamente.

Trovandoci alla Scala mi viene da dire che la Digos è mobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier, ma non voglio alludere. Solo, diciamo che la discesa in campo è parsa un poco eccessiva, un poco avventata.

Conta l’urlo, senza dubbio, ma alla Scala e alle prime non è proprio una novità, vuoi perché occasione imperdibile per farsi notare, vuoi perché capita che i tradizionalisti non gradiscano le novità: da Stravinskij e dai futuristi in poi c’è solo l’imbarazzo della scelta. E conterebbe anche il contenuto però, che quasi tutti gli italiani sottoscrivono all’istante. Qualcuno no, è vero, proprio non ce la fa, tipo La Russa e Salvini, ma nel caso sarebbe reato il loro e non l’urlo del Vizzardelli, il quale sostiene non gli garbasse tutto quel cancan dei giorni precedenti, quel mettere la Segre in mezzo alle paturnie di quei due, il primo poi con periodiche malcelate nostalgie che riaffiorano qua e là, specie sulle sue mensole, dove stazionano busti del Duce.

E allora lui dice che l’ha risolta così, da tenore, inneggiando all’Italia antifascista. Viste le passioni sue, immagino si sia pure augurato un fiero galoppo, da cavalleria rusticana, perché è proprio un bel mestiere fare il carrettiere. Purché antifascista.

Conviene sorridere, come alla fine credo abbiano sorriso tutti. Non La Russa forse, che è uno più da cavalcata delle valchirie immagino, restando in tema, certamente Liliana Segre, che non avrà disprezzato l’urlo e il richiamo a dove veniamo e verso dove non dobbiamo più tornare.

Chi l’avrebbe detto ad ogni modo: dopo sessant’anni, dopo Celentano, Mina e compagnia bella, un altro urlatore alla sbarra.

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