SE UN GIORNO LA JUVE SCOPRISSE L’UMILTA’

di LUCA SERAFINI – Nelle case, nei bar, sui social, al fischio finale di Juventus-Lione è esplosa la gioia: il tifo contro ha liberato la sua rabbia accompagnando con effimera euforia l’ennesima delusione europea dei bianconeri.

Destino dei più forti e vincenti, animare l’altrui miserabile soddisfazione con le disgrazie proprie. È un dazio che si paga per le molte vittorie, non credete alla storia di chi deve tifare per le squadre italiane quando sono impegnate nelle competizioni europee: questo è il Paese per eccellenza dove si cura con i denti il proprio orticello, figuriamoci nel calcio.

La Juve poi non fa molto per alimentare simpatie, al di là del suo dominio autarchico incontrastato da 9 anni, ma del resto l’arroganza, la spocchia, fanno parte del bagaglio dei dominatori: non vi si sono sottratti mai nemmeno Berlusconi, Moratti, lo stesso Lotito che con la sua Lazio in questi ultimi anni è il presidente che in Italia ha vinto di più. Fatte le debite proporzioni, caso per caso.

Non posso vivere le tua vita dorata, fammi godere quando scivoli nel fango. Un adagio sopportabile anche per uno juventino che di questa maledetta Champions, la vecchia Coppa dei Campioni, soffre un’ossessione che come tale non concede mai grandi vantaggi, anzi: ti offusca la vista e ti fa perdere il controllo, tanto da farti buttare fuori prima del previsto e da un avversario nettamente inferiore. Capace, però, di esasperare i limiti di uno squadrone che anche in serie A quest’anno singhiozzava e inciampava, ma nessuno ha saputo approfittarne. E dunque…

Dunque, un pugile fuoriclasse deve sapere incassare i colpi, sul ring e in platea, dove gli avversari godono annidati, ciascuno sul proprio trespolo. Deve sapersi rialzare, ammettendo – se è davvero forte anche nello spirito – i suoi errori e i suoi limiti, per lavorarci e correggerli. Talmente banale da apparire così lontano dai pensieri bianconeri di queste ore, in cui prevalgono la rabbia, l’insofferenza, la stizza che potrebbero indurre a cacciare un allenatore con il quale invece avrebbe dovuto iniziare un percorso epocale di mentalità e di spirito.

Ecco il problema: arrendersi all’evidenza. Vinco in Italia dove le rivali mi fanno il solletico per qualche mese, poi si squagliano regolarmente, ma in Europa sono lontano, eppure ce la devo, ce la voglio fare a tutti i costi. La Juventus ha giocato 2 finali di Champions negli ultimi 5 anni: non sono un caso. Il gap c’è e resta, grande o piccolo che sia.

Tra gli schiamazzi dei gufi in festa in queste ore, sarà meglio concentrarsi con lucidità – in silenzio – sulle proprie magagne per riuscire a colmarlo, quel gap: non è questione di allenatore, non solo. Il problema è liberarsi da un’ossessione, incurabile persino da Cristiano Ronaldo.

Una possibile cura? Giocare pensando sempre di essere più deboli degli altri, con quell’umiltà che ti consente spesso di superare ostacoli ben più ardui di una squadra francese di mezza classifica. Riconoscendo i propri difetti e i meriti altrui, qualche volta. Può essere una chiave, insieme con l’acquisto di un altro paio di Ronaldo.

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