SE SETTE STUDENTI SU DIECI HANNO CRISI DI PIANTO

L’alpino Bettoni aveva diciannove anni: era un valligiano austero, nonostante la giovanissima età, e non chiedeva favori né, tampoco, favoritismi. Lo conoscemmo che era appena arrivato, come noi, a Merano e, subito, lo prendemmo a benvolere, per la sua faccia onesta e il suo sorriso tranquillo. Così, cominciammo a parlare con lui e presto scoprimmo che, dietro quel suo aspetto, apparentemente sereno, c’erano i segni di un’esistenza davvero difficile. Primogenito di non so quanti fratelli, orfano di padre e con una madre invalida, l’alpino Bettoni era la prima persona veramente povera che a noi, figli di papà col cappello alpino, fosse stato dato d’incontrare. Per di più, Bettoni non avrebbe dovuto essere lì: la sua situazione familiare avrebbe dovuto procurargli una LISA, la licenza illimitata senza assegni. Solo che lui non lo sapeva: perciò era lì, a Merano, senza mugugnare né piagnucolare. E mandava a sua madre quelle poche lire di diaria che gli passava lo Stato. Alla fine, facemmo noi per lui la richiesta e, dopo qualche settimana, se ne tornò a casa, al suo lavoro di manovale, pieno di dignità e con tutto il nostro affetto e la nostra stima.

Ecco, se devo pensare a un bravo ragazzo, penso a lui, a Bettoni, che, a distanza di quarant’anni, ha ancora tutta la mia ammirazione. Leggo, ora, di un’inchiesta fatta dal solito collettivo in un liceo linguistico di Milano, da cui risulterebbe che la maggioranza degli studenti (sette su dieci con crisi di pianto e crolli emotivi, ovviamente complice il lock-down Covid) ha problemi psicologici, da stress scolastico. I poverini non si sentono valorizzati da quei brutti cattivi dei professori, che li giudicano a suon di voti e pretendono, nientemeno, che ci si basi sulla maledetta meritocrazia. E alla prima musata, al primo ostacolo, alla prima fatica, saltano come petardi. Leggo di questi signorini, coi loro bravi taffanari immersi nel burro, e penso all’alpino Bettoni, loro quasi coetaneo. E provo una sensazione vagamente irriferibile per questi privilegiati, viziati, dalla spina dorsale blesa, dalla dignità rachitica: questi ragazzotti sono il prodotto di un’Italia in mutande e canottiera, che si trascina dal divano al tinello, strascicando le ciabatte. Solo un Paese ciabattone può tirar su la propria gioventù a colpi di grafici sullo stress da scuola. Pensa un po’ quando toccherà di lavorare, a queste anime belle!

Io capisco perfettamente che, nelle ambizioni, più o meno inespresse e acerbe, di quattro leaderini che giocano a fare le inchieste, ci sia un mondo in cui ti pagano per non fare un tubo, ti promuovono senza fare un tubo e, di tubo in tubo, passi dalla culla alla bara, in un eterno ponte del 25 aprile: ma che questo venga assecondato e, anzi, accolto con attenzione e rispetto da professori e dirigenti, francamente mi lascia basito. Per la verità, no: non mi lascia basito affatto, giacchè la maggior parte dei docenti italiani ragiona esattamente come gli agit-prop del collettivo milanese. Gente che s’imbosca appena può, tra potenziamento e progetti, e che passa il tempo a lamentarsi di quanto sia pesante lavorare diciotto ore alla settimana: e, poi, vuoi mettere le riunioni, la correzione dei compiti, la compilazione della modulistica?

M’immagino l’alpino Bettoni, ormai alle soglie di una pensione che non vedrà mai, che ascolta le geremiadi dei professori e degli studenti, logorati dallo stress. Me lo vedo davvero, Bettoni, che poggia in terra il suo badile e si siede un attimo sul muretto a secco della malga che sta riparando, asciugandosi il sudore, mentre gli racconto di questa storiella educativa, che ci arriva dalla capitale morale. Laur de macc, commenterebbe: cose da matti. Che ne sa lui di meritocrazia o di tassonomia di Bloom: lui che si è sempre spaccato la schiena per quattro soldi? Mica è un professore, il Bettoni: la sua unica vacanza è stata a Merano, in quel lontanissimo 1982. Eppure, non giudica questi giovincelli pieni di pretese e di supponenza: loro sono dei signori e lui un manovale della Val di Scalve, che non ha gli strumenti per giudicare.

Così, giudico io: e vi dico che questa gente, che vuole vincere senza faticare e che pretende di ottenere senza nulla dare, esiste da sempre ed è, da sempre, la rovina del nostro Paese. E una vergogna, di fronte al vero merito di chi tace e tira, come un mulo obbediente. Altro che crisi di pianto per stress scolastico. Non a caso, le rivoluzioni le fanno sempre i benestanti: i veri poveri sono troppo impegnati a sopravvivere, per stilare grafici e produrre libri bianchi. Ciao Betto, ci si vede.

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