SE RACCOGLIERE OLIVE FA BUONA SCUOLA (PER DAVVERO)

Alla buon’ora (vi risparmio il vivaddio, perché lo metto sullo stesso piano del risvoltino ai pantaloni): finalmente, in una scuola, qualcuno avvia una sperimentazione che non sia la solita fantocciata, infarcita di sciocchezze, sulle musiche tribali del Botswana o sulle rivendicazioni dei campesinos nicaraguegni.

Intendiamoci, la cosa pare comunque una boutade, ma, perlomeno, è una boutade che mi piace: che rimanda a quel buon vecchio spirito rurale, in cui calli sulle mani e buon senso andavano di pari passo.

Una professoressa di un liceo scientifico pugliese ha deciso di non interrogare i propri studenti, qualora possano dimostrare di essere andati in campagna a bacchiare le olive, il giorno prima. Si sa, le olive per un Pugliese sono un po’ come le pepite d’oro per il Klondike e, quindi, un pochino la cosa si spiega. Però, rimane il fatto che un’insegnante liceale, categoria solitamente incline a prosternarsi di fronte alle più imbarazzanti scemenze didattichesi, come di fronte al Moloch, si sia inventata questa trovata della giustificazione olivesca.

E’ un’idea balzana, ma gagliarda, che profuma di bei tempi andati. Anche se m’induce qualche sospettuccio sulla veridicità di certe giustifiche. Mi ricordo, ad esempio, di tanti alpini che, quando ancora esisteva la naja, andavano a casa un paio di settimane perché felicitati di una licenza agricola: ovviamente, noi pennuti di città, che non potevamo contare su parenti benevoli che richiedessero le nostre braccia per zappare o raccogliere zucche, li odiavamo. In ispecie, detestavamo i tamocchi, ossia gli altoatesini, che s’inventavano improbabili attività lavorative nel maso di famiglia. Il quale maso, alla prova dei fatti, era un villone sulle colline di Merano, con gerani al balcone e Bmw in garage.

Anche oggi, immagino, qualche volta andrà così: una dichiarazione compiacente salverà l’asinello dal redde rationem, giacchè non penso che la professoressa annuserà tutti gli studenti per sentire se sanno o meno di campagna. Resta, tuttavia, il fatto che la scuola, una volta tanto, sembra incentivare il legame con la terra, anziché quello con la fuffa. Una scuola, su migliaia, lo so bene: ma da qualche parte si dovrà pur cominciare a smantellare questo assurdo edificio fatto di idiozie messe insieme, che ha trasformato una cosa bellissima in una cosa ripugnante. La scuola in una discarica di rifiuti intellettuali.

Io non so quali siano le motivazioni dell’insegnante pugliese: magari sono fra le meno nobili. Mi piace, però, pensare che sia mossa dal sentimento dell’importanza della cultura materiale, del senso del lavoro, del rapporto dei giovani con il proprio territorio e con la terra che gli dà il nome. E che ritenga perlomeno altrettanto importante un lavoro manuale, in mezzo agli ulivi, di un pistolotto sul teorema di Gauss o sul Petrarca.

Perciò, sia lode alla professoressa, sia lode agli ulivi, i fratelli ulivi che fan di santità eccetera eccetera. E sia lode alla terra, che dovrebbe essere il baricentro delle nostre esistenze: non solo perché dalla terra vengono equilibrio e saggezza, il ritmo delle stagioni e quello della vita, ma perchè alla terra ritorneremo, quando la finiremo di correre trafelati, ognuno dietro la nostra bandierina personale, ognuno dietro al proprio malessere individuale. Per un giudizio che non ammette giustificazioni.

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