PERCHE’ FESTEGGIO IL 2 NOVEMBRE

In casa i lumini venivano accesi ogni 31 ottobre sera. Mi trasmettevano vita e luce, la voglia infantile di pregare davanti alla fiammella sul comodino quasi più che in chiesa. Fuori dalle finestre di via Solari, confine con il Lorenteggio a ovest di Milano, era tutto grigio: non si vedevano né la strada né le case di fronte, né si sentivano i motori delle poche auto in giro nei giorni festivi. La città era sprofondata nell’ovatta.

Non ricordo il 2 novembre come un giorno triste. Nell’atmosfera anzi veleggiava un’irreale euforia, si cominciava a respirare il Natale perché veniva prima la parola “festa” e poi la “commemorazione dei defunti”. Al contrario, nella flebile percezione dei bambini – io e le mie sorelle -, grazie anche alla serenità dei miei genitori, già di primo mattino i preparativi in casa erano quasi elettrizzanti: stavamo per andare al cimitero e mentre mia mamma ci copriva come per attraversare la steppa, con golf, guanti, sciarpe, berrettini, non smetteva di raccontare di quando era piccola, dei suoi fratelli, dei nonni che si erano allontanati presto tra di loro e si erano rivisti solo poco tempo prima di morire. Ma noi nipoti li avevamo conosciuti e avevamo vividi i ricordi dei loro sorrisi, dei loro rimbrotti, delle loro voci e delle loro storie.

Non vedevamo l’ora che papà trovasse parcheggio fuori dall’enorme cimitero milanese di Musocco, per fare a gara nel prendergli la mano a attraversare insieme l’enorme piazzale ricco di bancarelle di fiori e lumini, attenti che dalla nebbia non sbucasse il tram: “Le castagne dopo, bambini, e non troppe perché poi andiamo a pranzo dagli zii”. Le mie due sorelle portavano in braccio il mazzo di garofani per la nonna e quello per il nonno, io da precoce piromane amavo accendere i lumini e papà me li faceva scegliere, con l’effige di Papa Giovanni XXIII e quella di Maria o di Gesù.

Attraversare quei lunghi viali tra siepi e cipressi, rispettando il silenzio senza bisogno che ce lo ordinassero, regalava pace e nessun turbamento. Se dovevamo dire qualcosa, bisbigliavamo. La nebbia gelata entrava nelle ossa, nonostante fossimo bardati da alta montagna. Eppure dopo tanti anni non ricordo di aver mai avuto freddo, quel 2 novembre di ogni anno. Camminando per i campi guardavamo le foto e le date sulle lapidi, quante volte mia mamma rallentava… “Com’era giovane questo, chissà cos’ha avuto”.

Ci fermavamo prima da nonna Nardina, poi, verso l’uscita, da nonno Sebastiano. Andare a prendere l’acqua alla fontana per riempire i vasi e per pulire il marmo era un’altra gara tra noi bambini, sempre in silenzio ma pestando con forza la ghiaia per sentirne il rumore. Una volta deposti i fiori e pulite le tombe, stavamo intorno a mezzaluna pregando qualche minuto ognuno per conto suo, sempre in silenzio. Solo a un certo punto, appena prima di baciare la foto dei nonni e andare via, la mamma chiedeva che recitassimo insieme “Eterno riposo”, che storpiavamo dal latino “Requiem aeternam” attaccando con “Erecom eterna” e poi “dona loro Signore e splenda ad essi la luce perpetua, ripòsino in pace”. Sul ripòsino in pace mi compariva puntuale un sorriso, come oggi, non è mai più scomparso: li immagino dormire, con un’espressione distesa. Siamo vicini. Presenti. Nessuna mestizia.

All’uscita, in tarda mattinata, qualche volta faceva capolino un flebile sole. Nei bicchierini di ferro ammaccati ci stavano due-tre caldarroste in quello da 10 lire, una dozzina in quello da 30 o forse 50 lire. Il sacchetto invece ne conteneva moltissime, ma non potemmo mai contarle perché quelle papà le comprava crude per poi farle saltare a casa, sul fuoco, nella padella bucata.

Prima di andare a pranzo, ci fermavamo in piazzale Aquileia, di fronte al carcere di San Vittorie, alla cripta che contiene (erano ben visibili) i teschi e le ossa dei morti di peste e su cui campeggia la scritta: “Quel che sarete voi siamo noi adesso, chi si scorda noi scorda sé stesso”.

Ricordo quella frase ogni 2 novembre, insieme col sorriso, con la pace, con il conforto di chi continua a vivere nei cuori di chi li ha amati.

Ormai c’è sempre il sole, fa quasi caldo, non so quanta gente quest’anno andrà al Musocco. Io ci sarò con l’anima, perché non saprei più trovare i miei nonni, eppure ogni giorno li vedo parlare con i miei genitori.

Un pensiero su “PERCHE’ FESTEGGIO IL 2 NOVEMBRE

  1. FIORENZO ALESSI dice:

    Un AltroPensiero davvero bello e suggestivo.
    E lo dice uno che ha ormai più passato alle spalle che futuro davanti.
    Quando il “mondo moderno” (contro il logorio di quel mondo chi non rammenta un ineffabile Ernesto Calindri sorseggiare un elisir illo tempore di gran marca…?) decise che si poteva , o doveva, anche far a meno della FESTIVITA’ dei DEFUNTI del 2 di Novembre , non scorderò mai una frase di mia madre : ” Perchè mai hanno tolto la Festa dei Morti ? I Morti, in fondo, li abbiamo tutti !”.
    Semplicità che assurge a saggezza.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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