SE PER SALVARE LA SANITA’ CHIEDIAMO IN GINOCCHIO QUALCHE MEDICO A CUBA

C’era una volta un mondo in cui l’Italia, garbata e ricca nazione europea, inviava aiuti all’America Latina: è giusto, pensavamo, noi stiamo meglio ed è nostro dovere aiutare chi sta peggio. E, poi, con i Sudamericani abbiamo un rapporto speciale: ci sono simpatici, diciamo. Era un mondo così: allora, Cuba era considerata un posto in cui andavi per sciropparti i pipponi su Che Guevara, dove il mare era bellissimo e a buon mercato e, ahimè, dove ti offrivano le ragazzine in piazza.

Ma i tempi cambiano e, come sosteneva il Talleyrand, anche noi cambiamo con loro. Così, può darsi che, nell’anno di Grazia e Meraviglia 2023, da Cuba partano dei medici per venire a salvare la sanità italiana. No, mi correggo: la sanità calabrese, che di quella italiana pare aver preso solo i molti difetti, ma non le non poche virtù. Perché la Calabria, nel bene come nel male, è un mondo a parte, con regole tutte sue e una tutta sua specifica decadenza. Ecco, dunque, che in un territorio in cui si laureano anche gli analfabeti e c’è uno stringente bisogno di medici specialisti, bandi e richieste per l’assunzione di sanitari all’altezza della situazione vanno deserti e la regione boccheggia.

Ci vorrebbero, secondo i dati regionali, 2.407 specialisti in più, che, però, non ci sono o latitano, nonostante gli appelli del presidente Occhiuto: dunque, non rimane che rivolgersi altrove. Segnatamente, a Cuba, isola nota per il buon livello dei propri sanitari e decisamente più a buon mercato di altri Paesi papabili all’uopo. Perciò, la Regione Calabria si è accordata con la Comercializadora de Servicios Médicos Cubanos, per l’assunzione di mezzo migliaio di medici caraibici. Non starò qui a commentare la spesa, gli stipendi bassissimi dei sanitari e la bella fetta che s’intasca la CSMC: in questo, Italia e Cuba sembrano davvero paesi gemelli.

Dirò, piuttosto, della clamorosa vergogna di una Nazione che, dopo avere, per decenni, operato una politica dissennata per cui cani e porci potessero laurearsi, purchessia, svilendo atenei e facoltà con criteri assassini, basati sul rating e sul facilismo, adesso non riesce a trovare duemila medici in Calabria. Duemila, non duecentomila. E li deve andare a pescare a Cuba. Ma i nostri laureati dove diavolo sono? Preferiscono gli ottocento euro del RdC ai milleduecento della Regione calabra? Sono già stati contattati tutti dal San Raffaele? Possibile davvero che non saltino fuori gli specialisti di cui la Calabria ha bisogno?

Io questa Italia non la capisco più, veramente: sembrava che dovessimo fare una vera crociata affinchè tutti si laureassero, per non essere sempre il fanalino di coda dell’Europa in materia di cultura e, adesso, scopriamo che non abbiamo pediatri, ginecologi, ortopedici, per curare la nostra gente. Evidentemente, si sono laureati tutti in antropologia o in ingegneria gestionale, meglio, in scienza della comunicazione (de che?), gli studenti ammessi agli studi accademici: sennò non si spiega.

E, a Cuba, si fregano le mani: vi salveremo noi, dicono. Capito? Ci salveranno loro: i Cubani. E si preparano a sbarcare in Calabria, come un missionario che si appresi a partire per il Burkina Faso. Guardate che il mio non è sciovinismo: questi dottori saranno anche bravissimi, non lo metto minimamente in dubbio. Siamo noi il problema: noi, che continuiamo a crederci uno dei Paesi più importanti del pianeta e, in realtà, siamo già da un pezzo Terzo Mondo. Tanto che il terzo Mondo viene a salvarci in pompa magna.

E’ mai possibile che, dopo queste continue riprove del nostro precipitare verso il fondo in ogni classifica di civiltà, a nessuno suoni un campanellino nella testa? Intendo dire che mi sembra bizzarro che nessuno mai ponga la domanda definitiva, quella che dovrebbe rappresentare il punto di partenza di qualunque presunta ripresa: quanto siamo caduti in basso? E dove siamo, oggi, davvero?

La mia impressione è che dovremmo cambiare tutto, ma proprio tutto, se vogliamo tornare a galla, anziché cullarci con le pie illusioni. Ci crediamo tutti Spallanzani e, poi, se uno a Catanzaro si rompe una tibia, per riparargliela ci vuole un cubano. E cara grazia che c’è Cuba, porca miseria.

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