SE IL PROBLEMA NON SONO LE BORSEGGIATRICI, MA LA LORO PRIVACY

Una notizia che ne contiene diverse altre. E’ una storia, insomma, come quelle di una volta per il dipanarsi e la cronologia degli eventi: il “soggetto”, la “sinossi”. Trame assai diverse rispetto alle storie per lo più autoreferenziali pubblicate su Instagram o Facebook, o quelle forzatamente demenziali di TikTok, così per dire. Senza stare a elencarle tutte, le notizie di questa vicenda, ecco i fatti.

Esiste un account Instagram che si chiama “Milano bella da dio”, oltre 170.000 followers, dei quali molti si inventano una specie di “poliziotti di quartiere” per documentare i problemi di sicurezza della città. Nei giorni scorsi “Milano bella da dio” ha pubblicato diversi video in cui sono riprese borseggiatrici – per lo più rom – in azione sui mezzi pubblici della metropoli. L’iniziativa non è piaciuta alla consigliera comunale del Pd, Monica Romano, che ha parlato di una vera e propria violenza mediatica, accusando esplicitamente l’account: “Quest’abitudine di filmare persone sorprese a rubare sui mezzi Atm e di diffondere i video su pagine Instagram con centinaia di migliaia di follower, è violenza ed è molto preoccupante”. La tambureggiante sequenza di video è stata da lei definita una vera e propria “gogna mediatica”.

La sua uscita ha provocato una sollevazione popolare social e i commenti contro la Romano, come spesso succede vista la libertà assoluta di espressione di cui godono i tastieristi, hanno preso una piega volgare, con esplicite derisioni all’aspetto fisico della consigliera. Insulti, intimidazioni, epiteti: un campionario di oscenità senza freni. A questo siamo, si sfoga ora la donna su Facebook, “a infamare una donna quando esprime un’opinione”.

I difensori dell’account Instagram parlano di una “città in perenne stato di assedio”, dove al fenomeno delle borseggiatrici vanno aggiunte le molestie sul bus, i ragazzi che fanno il bagno nel Naviglio, le risse fuori dalla Stazione Centrale, i furti di cellulari. Per loro, quella della sicurezza a Milano è decisamente “un’emergenza al limite della sopportazione”.

Il fondatore di “Milano bella da dio” è un 26enne laureato a Cambridge in “Psicologia del consumatore”: preferisce non rivelare il cognome, rivela di essere stato contattato da FdI per essere inserito in lista alle regionali, ma di aver rifiutato “perché la sicurezza non ha colore politico”. Conclude: “Siamo nati per colmare il disinteresse delle istituzioni nei confronti di queste piaghe, riceviamo più di 100 segnalazioni al giorno e riceviamo spesso il ringraziamento delle forze dell’ordine che usano il nostro materiale, ritenendolo molto utile”.

In effetti, è un po’ difficile comprendere il punto di vista di Monica Romano, con tutto il rispetto. Quando da apprendista mi destinarono alla cronaca nera, mi confrontai col dibattito mai sopito sull’opportunità di pubblicare certe immagini cruente, fotografiche o in video, dopo incidenti, rapine, aggressioni, calamità. E’ un filtro necessario, me ne sono convinto, perché se tu vedi un film o un documentario sulle torture, per esempio, scegli di farlo sapendo in che cosa stai per imbatterti, ma se guardi il telegiornale all’ora dei pasti, in compagnia di nonni, figli o nipotini, non puoi all’improvviso propinargli un certo tipo di scene. Però, con le borseggiatrici in azione su tram e metropolitane francamente non credo si possano fare paragoni. Credo anzi che parlarne e basta non alzi il livello di attenzione dei passeggeri-preda, mentre mostrando loro come agiscono ladri e ladre li inviti a una difesa più accurata.

Quanto alle reazioni social, visto che la Romano li frequenta, sappiamo bene che è come esprimere un’opinione nella jungla dove le bestie sopravvivono per istinto e non per razionalità, tanto meno per educazione e civiltà. Sarebbe il momento, però, di aprire anche un account di vigilanza sul linguaggio, sui toni e sui modi, che porti a un filtro estremamente severo. Qualcosa già esiste: il movimentoeticodigitale.it si presenta dicendo di “sviluppare iniziative che contribuiscono a un’educazione digitale diffusa”. Come? “Creando un primo livello di consapevolezza sulle potenzialità e i rischi del web con social warning. Riparando e donando pc per rendere il web accessibile a tutti. Parlando ai giovanissimi delle libertà online. Divulgando informazioni utili tramite i media nazionali ed europei con i dati dell’Osservatorio Scientifico. Costruendo progetti con fondazioni e partner per raggiungere giovani e adulti”.

Bene, molto bene. Sull’educazione social ci stiamo muovendo. Ma sulla repressione? Quando saremo in grado di andare a stanare e punire questi pavidi terroristi del linguaggio che si nascondono dietro ai profili anonimi?

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