S.SIRO E’ SEGNATO, MA NESSUNO LO DEMOLIRA’ NEI NOSTRI RICORDI MIGLIORI

Sono lontano dallo stile british: più facile che sia davanti a un Negroni che a un tè, alle cinque della sera, e se posso scavallo la coda. Amo il calcio, però, e quello inglese mi affascina sin da quando – causa un colpo di fulmine infantile per un’attricetta di telefilm – iniziai a tifare Southampton, piccola squadra di una città famosa solo perché vi salpò il Titanic. Quel club ha comunque regalato alla storia del pallone leggende e campioni fantastici: LeTissier, innanzitutto, uno dei più grandi di sempre che non volle mai lasciare i “Saints” nonostante puntuali, ricchissime offerte di grandi club. Poi Keegan, Beattie, Walcott, Mane, VanDijk, Lallana, Bale…

Ma la vera icona del “Soton”, come lassù usano abbreviare il Southampton, era lo stadio “The Dell”, un catino sempre gremito da una delle tifoserie più calde della Premier. Dal 1898 al 2001 “la conca” era un fortino famoso in tutto il Regno Unito per il calore e la vicinanza della sua gente biancorossa, fino a quando fu demolito e sulle sue ceneri nacque l’attuale “St. Mary’s”: per come sono soprannominati tifosi e giocatori del Soton, “i santi”, forse meglio si addice.

In Inghilterra di stadi leggendari ne hanno abbattuti parecchi, i più famosi “Highbury” (ora Arsenal Stadium), “White Hart Lane” (ora Tottenham Hotspur Stadium, ma i romantici continuano a chiamarlo “New White Hart Lane”), ma soprattutto Wembley.

Antichi e fatiscenti, non erano ristrutturabili per costi e soprattutto per infrastrutture. La stessa sorte che tocca ora a San Siro: gli si può dare una sistemata, ma è destinato all’inagibilità e quindi al funerale. Prima o poi. Quando trapelarono le prime voci, ero pronto a insorgere e come me migliaia di tifosi di Inter e Milan che in questo stadio mitico hanno vissuto pomeriggi e notti indimenticabili, vinto e perso come in nessun’altra città italiana. Dopo di che mi sono letto decine di pagine di faldoni scritti da geometri, tecnici, ingegneri e i concetti sono molto chiari, troppo chiari, assolutamente chiari: la distruzione di San Siro è ineluttabile, le milanesi avranno uno stadio nuovo.

In quello stadio sono stati allestiti palcoscenici per concerti (una volta anche ring per la boxe) indimenticabili, su tutti quello di Bob Marley nel 1980: ero uno dei 100.000 sugli spalti, io mia sorella e i miei amici fumammo hashish e marijuana per indotto. Nel pomeriggio, in attesa del rasta più famoso della storia, si esibirono semisconosciuti come Pino Daniele, l’Average White Band, Dee Dee Bridgewater, Tony Esposito, Roberto Ciotti… Fu il primo di una serie di spettacoli musicali che portarono sul prato della Scala del calcio – tra gli altri – Bruce Springsteen (1985 e 2003), David Bowie, Michael Jackson, Vasco Rossi, gli U2, Phil Collins, i Depeche Mode, Madonna, ma anche la Pausini, Jovanotti e Bennato.

L’ultimo, accorato, vano appello perché San Siro non venga abbattuto è di Steven Van Zandt, il “Little Steven” chitarrista di Bruce Springsteen, diventato famosissimo anche come attore grazie ai “Soprano” e all’esilarante “Lillehammer”: aderendo al “Comitato Sì Meazza”, ha twittato esprimendosi in modo molto diretto. Ha scritto: “Abbiamo abbastanza grattacieli nel mondo, ma San Siro è rimasto uno dei pochi grandi palcoscenici: salviamolo!”.

Grazie, Steven. Non servirà. A Milano potremo goderci questo stadio ancora per almeno 5-6 anni viste le lungaggini burocratiche della politica. Politica che regalerà alla metropoli lombarda un record difficilmente battibile: sarà l’unica città al mondo ad avere uno stadio di proprietà diviso tra due club. Solo una giunta italiana, un comune italiano, un sindaco italiano potevano inventarsi un orpello così originale.

Lasciamoli disputare ancora un po’ tra affitti, metri cubi, quartieri dove porre il primo mattone, dispettucci tra maggioranza e opposizione: non abbiamo fretta. Ci godremo ancora un po’ il nostro stadio, caro Steven, dove nel frattempo tu e il “Boss” potreste anche tornare a esibirvi.

Ma arriverà quel giorno, per forza arriverà: nel camposanto della memoria si allungherà la fila dei templi e San Siro riposerà in pace, disteso a fianco di Wembley, Higbury, White Hart Lane, Delle Alpi, e chissà… anche l’Olimpico di Roma.

Resteranno i ricordi dei gol e della musica, sepolti tra le scartoffie in municipio. Quelli, però, nessuno li abbatterà mai.

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