RUBINETTI CHIUSI E INCENTIVI MONOPATTINO

Stiamo facendo una macabra collezione: dopo il Covid, calamità una di fila all’altra. Crisi delle materie prime, microchip introvabili, invasione dell’Ucraina, in Sardegna pure le cavallette, per finire (al momento) la siccità.

Però dobbiamo dirlo: tra tutte, la siccità è la meno imprevista e imprevedibile. Ci abbiamo messo molto del nostro. Di noi italiani. Non tanto per il caldo e per la scarsità di piogge, queste eventualità chi può governarle. Piuttosto, ci abbiamo messo molto Italian Style per come consideriamo il bene supremo dell’acqua.

Ma diciamolo, una volta per tutte: il nostro vero petrolio non è il turismo, non è l’arte, non è la cultura. Tutto questo è preziosissimo, ma arriva dopo. Prima, c’è l’acqua. Non c’è attività umana, non c’è neppure forma di vita, senza acqua. Non si beve e neppure si mangia, senza acqua. Non si vive. E casualmente l’Italia è una terra fortunatissima, da questo punto di vista. Non avremo altre risorse naturali, metalli gas benzine, ma abbiamo tantissima acqua. Ne abbiamo talmente tanta che difatti non la consideriamo neanche. La trattiamo a pesci in faccia. La sprechiamo in tutti i modi, da tutte le parti.

Così, ad ogni estate più calda e più asciutta, ormai sempre peggio per il famoso surriscaldamento globale, ci rivediamo inermi lo stesso film: gente che cammina nel letto del Po, agricoltori in lacrime, operatori turistici con le mani nei capelli, razionamenti, autobotti, reportage ansiogeni. E sempre, immancabili, le stesse autoflagellazioni: abbiamo perso troppo tempo, abbiamo lasciato andare la nostra rete idrica, non facciamo manutenzioni da decenni, ogni giorno va perso il 50 per cento del nostro patrimonio idrico. E l’impegno solenne: basta, per la malora, è ora di “attivare delle serie politiche di intervento, per mettere in sicurezza e in efficienza questa importantissima rete idrica, ne va del nostro equilibrio sociale ed economico, perchè dove non arriva acqua arrivano disperazione, fame, tensioni sociali”, eccetera eccetera.

Abbiamo già ricominciato pure stavolta, puntuali e cialtroni come sempre. Quando i buoi sono scappati dalla stalla e si disperdono in lontananza, facendoci pure il gesto dell’ombrello, noi cominciamo con i ravvedimenti e i piagnistei, mai più, mai più, dobbiamo curare al massimo il nostro bene più prezioso. Magari, forse, chissà.

Ascoltando le solite cose, stavolta possiamo aggiungerne però una più originale. Parlando di Rinascimento italiano dopo il Covid, mentre dall’Europa ci cascavano in testa i soldi facili del PNRR, nessuno ha pensato di mettere al primo posto l’acqua. La tutela e il salvataggio dell’acqua. Abbiamo cianciato molto di pale eoliche, di pannelli solari, persino di idrogeno. Abbiamo pensato molto alla banda larga, alla surreale semplificazione digitale di Colao, al 5G. Tutto buono e tutto giusto, ci mancherebbe altro. Ma dell’acqua e delle nostre tubazioni colabrodo s’è parlato pochino. Troppo poco. Riducendoci così un’altra volta a questa angoscia secca. In compenso, abbiamo usato i soldi per gli incentivi al monopattino. Quando si dice un popolo formica.

Come minimo, camminando di nuovo sulla sabbia del Po, un po’ tanto depresso, stavolta andiamoci a rinchiudere in un doveroso quarto d’ora di vergogna. Non abbiamo più titoli per lanciare proclami e stilare promesse di riscossa. Siamo all’asciutto, d’acqua e di intelligenza. Ormai, a livello di sapiente programmazione, possiamo soltanto impegnarci nella danza della pioggia.

Così, almeno, all’arrivo dei sospirati nubifragi potremo cambiare disco, ricominciando a frignare sul dissesto idrogeologico e sull’urgenza di rimettere il Paese in sicurezza. Dopo che ci siamo fatti tutti il monopattino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *