Tutto questo grazie a studi di scienziati e di tecnici che ci precedono sulla via, eliminando ogni scomodità che potremmo incontrare, limitando i pericoli, studiando cure per gli accidenti in cui ci capita di incappare. Giusto dunque che la scienza sia tenuta in alta, anzi altissima considerazione (anche se oggi qualcuno le preferisce il sentito dire dei falsi esperti di Rete e dei mestatori di paure e superstizioni).
Qualche volta, però, fatichiamo a capire. Prendiamo a esempio l’iniziativa del professor George Church della Harvard Medical School, il quale è riuscito a farsi finanziare un progetto per riportare in vita i mammut. Non si tratta del primo capitolo di Jurassic Park, ma di una notizia verificata. Applicando circa 50 modifiche al Dna degli elefanti contemporanei, il professore è sicuro di poter tornare al modello originale dei pachidermi: il mammut, appunto. La creatura frutto di manipolazione genetica avrebbe, rispetto al “comune” elefante, “pelo lungo, orecchie piccole e uno strato di grasso in più”. Così sistemato, riuscirebbe non solo a confondersi bene tra la folla delle spiagge agostane, ma a portare alla scienza un contributo importante. Quale? I genetisti non ne sono ben sicuri, tanto è vero che non pochi colleghi del professor Church hanno preso le distanze dalla sua iniziativa, alcuni per definirla “impossibile”, altri per bollarla come “dissennata”.
Agli ignoranti di genetica come il sottoscritto, non resta che, come sempre in questi casi, concedere alla scienza il beneficio del dubbio. O meglio, riconoscere che ogni scoperta, ogni impresa da laboratorio, ha del buono in sé per quanto ci permette di aumentare le nostre conoscenze rispetto all’ignoto circostante. Senza dimenticare che, come diceva il filosofo Herbert Spencer, le conoscenze umane sono una sfera: ogni nuova scoperta aggiunge uno strato alla sua superficie, aumentandone così il volume ma anche i punti di contatto con ciò che rimane sconosciuto. In altre parole: le scoperte aumentano nel contempo la nostra conoscenza e la nostra ignoranza.
Va poi ricordato che di ogni scoperta, lo sappiamo bene, si può fare un uso benigno e uno maligno: la fisica nucleare ci permette di avere diagnosi precoci bombardandoci con anti-particelle, ma anche di disporre di ordigni in grado di cancellare intere città nel giro di un secondo.
Infine, tenere in alta considerazione la scienza varrebbe a poco senza aggiungere un elogio della fantasia che, in mille modi e da mille direzioni, la alimenta e le sottopone nuove sfide. Forse il professor Church resterebbe impressionato nell’apprendere che, in effetti, qualcuno il mammut l’ha già resuscitato. Tra il 1962 e il 1965 la leggendaria Gamma Film produsse il Carosello “Mammut, babbut e figliut” per pubblicizzare i prodotti Pirelli. Una famiglia preistorica sul modello Flintstones che combinava un sacco di pasticci fino a quando una voce milanesissima ammoniva: “Ohé cavernicoli! Non siamo più all’età della pietra”.
In che età siamo oggi è difficile dire, ma la memoria di quella e di altre simpatiche fantasie ancora resiste. E’ la stessa fantasia che ci impone una domanda: non è che dopo il mammut i genetisti vorranno riportare tra noi altri esemplari estinti? Personaggi come Hitler e Stalin, per esempio. Con qualche modifica al Dna degli attuali leader e leaderini di movimenti più o meno autoritari, il gioco sarebbe fatto. Neppure ci sarebbe da preoccuparsi di aumentare la lunghezza del pelo. Non di quello sullo stomaco, almeno.