RICREAZIONE FINITA PER L’ITALIA CICALA, MA LA COLPA E’ SOLO NOSTRA

Il 29 giugno 1990 l’avvocato Gianni Agnelli pronunciò una delle sue tante frasi celebri: “la festa è finita”. L’occasione era l’assemblea degli azionisti della Fiat, che perdeva il 15% sulle vendite, in cui il leader degli industriali annunciava la sua personale profezia sul modello di sviluppo italiano basato sul debito nazionale. Non solo, stavano maturando i tempi di Mani pulite, contrassegnati dagli intrecci malsani tra politica e affari, e l’intero sistema era vicino al collasso, ma nessuno sembrava davvero accorgersene.

Sono passati trentadue anni e ci risiamo. Tra molti bassi e qualche alto, la nostra economia ha vivacchiato, senza mai affrontare di petto la vera questione nazionale: il debito pubblico, la bellezza di 2.755 miliardi a fine marzo (record di sempre), intorno al 160% del PIL, secondi dietro la scassata Grecia.

Solo Tremonti e Monti ci hanno provato, ma conosciamo i risultati, sono passati alla storia per antipatici “rigoristi’ e sostanzialmente rigettati dal nostro peggiore vizio italico, essere “cicala”. Di recente abbiamo anche avuto gli aiuti sostanziosi di SuperMario Draghi, che dall’alto del suo grattacielo di Francoforte – sede della BCE – sparava col suo bazooka finanziario miliardi di sostegno alle economie europee più deboli, leggi soprattutto il Belpaese. L’abbiamo (giustamente) consacrato a eroe nazionale, ma mai nessuno da noi ha pensato seriamente di utilizzare questi soldi per diminuire il mostro. Peggio di un padre che continua a contrarre debito in giro per non abbassare la qualità della vita della propria famiglia facendo finta di niente, abbiamo solo chiesto eccezioni agli scostamenti di bilancio, slittamento degli impegni, rimandi di qualsiasi genere. Piuttosto che tirare un po’ la cinghia, abbiamo insistito con l’idea che la crescita potesse coprire tutto, dall’autofinanziamento fino all’inizio del ridimensionamento della montagna inviolabile. La pandemia ha aggiunto anche l’effetto collaterale di annebbiare le già poco lucide analisi economiche, offrendo una splendida occasione per tirare in là ancora per un pezzo. Anzi, il PNRR ci ha fatto gonfiare il petto, i complimenti (sanitari, comunque) della Von der Leyen ci hanno conturbato, ci siamo illusi che un’azzeccata manovra fosse la panacea di tutti i problemi. Facendo finta di non sapere che la nostra debole riscossa era pesantemente dopata, grazie ai soldi facili dell’Europa, prima con l’acquisto sicuro del nostro debito a tassi ridicoli, poi con le elargizioni per l’emergenza pandemia.

Ora, con l’annuncio inevitabile della Lagarde sull’aumento dei tassi d’interesse e sulla fine dell’acquisto sicuro di debito nazionale, è suonata la campana dell’ultimo giro. Fine della ricreazione. Fine dei soldi facili e sicuri, senza limiti. Si torna a giocare con le vecchie regole, quelle che non abbiamo mai imparato. Non bastava l’aumento incontrollato dell’inflazione, i prezzi dei beni primari schizzati all’insù, le gestioni indecenti di alcuni incentivi green come il super bonus 110% e il bonus facciate del 90% (una figuraccia planetaria le frodi da oltre 4 miliardi), lo spread di nuovo impazzito a 233 punti, la disoccupazione crescente e le tensioni sociali latenti: adesso si fa sul serio. Bisogna affrontare il mercato e chiedere prestiti senza protezioni, difatti i primi risultati terribili già si intravedono. E dire che abbiamo a disposizione uno degli esponenti tecnico-politici più autorevoli nel campo, chiamato a salvare l’Italia dal gorgo di nuove elezioni o peggio ancora. Lo stesso mago di Oz di cui sopra non è capace di mettere un punto fermo alla fonte di ogni nostro male passato, presente e futuro: cominciare a programmare un rientro serio del debito. Già si sono levati i berci di una parte politica, sempre la stessa, del facilone populista Salvini, che neppure stavolta riesce a spingersi più in là di un facilone “svendono l’Italia come la Grecia”, solito modo di chi si scaglia contro i nemici per evitare di guardarsi in casa propria.

Mai qualcuno che dica la pura e semplice verità: abbiamo le tasche bucate e non ce la caveremo mai se non cominceremo a rimettere a posto i nostri conti. Atteggiamento molto impopolare, vero, e tacciabile subito di gufismo anti-italiano. Ma mai come adesso appare evidente il nostro grande dramma: ci mancano come l’aria, mai come ora, volontari politici di una nuova Italia, finalmente seria e responsabile.

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