RICONOSCIAMOLO: LA VERA EPOPEA SPAZIALE E’ TARGATA URSS

Yuri Gagarin

di GHERARDO MAGRI – Si celebrano i sessant’anni del primo volo in orbita di un essere umano, il russo Yuri Gagarin, eroe senza tempo che vivrà per sempre nella memoria collettiva. Il suo faccione sorridente e quadrato, che ammicca dal casco rigorosamente siglato CCCP, è il simbolo della supremazia comunista dello spazio di quegli anni.

Ma l’abbiamo capito bene molto tempo dopo, perché la propaganda di allora dominava i mezzi (limitati) di comunicazione. Nel mondo occidentale anni ‘50-’60, il blocco sovietico dell’URSS era la minaccia più grande, il maccartismo americano mieteva le sue vittime con la famosa caccia alle streghe e noi giovani studenti europei sapevamo poco dei successi dei “nemici della democrazia”. Eppure, loro erano avanti di anni rispetto agli americani. Bisogna riconoscerlo, almeno oggi. Tra i loro tanti primati cito solo i più importanti: il lancio del satellite artificiale – lo Sputnik – nel ’57, nello stesso anno la missione con la cagnetta Laika, poi la missione storica con un uomo in orbita – Gagarin con la sua Vostok 1 nel ‘61 -, la prima donna della storia – Tereshkova – nel ’63, la passeggiata nello spazio del ’65, ecc. ecc.. Gli USA sempre a rincorrere, con affanno.

Ancora oggi, non so perché, leggendo gli articoli si notano delle imprecisioni di fondo, che tendono ad accorciare le distanze tra le due superpotenze di allora e a far sembrare eccezionale ed esetmporaneo, quasi casuale, l’exploit di Gagarin. Qualcuno ha scritto che il cosmonauta russo ha battuto gli americani di un solo mese: sbagliato, perché Alan Shepard è pur vero che viene “sparato” solo 23 giorni dopo a 186 km di altezza con la Mercury Freedom 7, ma non compie una vera orbita intorno alla terra. Fa sostanzialmente una “bella capriola”, come lui stesso la definisce, e ripiomba subito nell’oceano: una specie di uomo-cannone. Ci vorranno altri due lanci. E solo l’anno successivo John Glenn riesce a eguagliare il collega-avversario Yuri nel replicare un bel giro intero del pianeta azzurro. Basta leggere la sequenza degli avvenimenti e ci si accorge che gli astronauti a stelle e strisce fanno un copia e incolla incessante dei lanci e delle missioni che partono dal cosmodromo di Baikonur. Però studiano e si danno da fare per migliorare, nel frattempo.

Sarà John Kennedy che imprimerà un’accelerazione portentosa, con il suo famoso discorso suggestivo e romantico, che ancora oggi tutti citano come grande esempio di visione, e che porterà nel ’69 l’America ad ottenere il premio più grande nella storia della conquista dello spazio: lo sbarco sulla luna, battendo definitivamente i russi.

Il merito dei cosmonauti russi, però, non è soltanto quello di essere stati la molla fondamentale nella corsa all’innovazione spaziale, spingendo l’intera comunità scientifica mondiale alla massima innovazione e alla ricerca oltre i limiti. Bisogna riconoscere loro il grande valore di non essersi mai fermati e di aver continuato a lavorare sodo sui programmi spaziali, tanto da diventare nel tempo i più affidabili, sia in termini di risultati concreti che di concertazione multinazionale.

Ci ricordiamo bene che la NASA, con il suo programma avveniristico della navicella riutilizzabile Shuttle del 1981, sembrava non avere più rivali e tutti ammiravamo la supremazia americana. Purtroppo, la storia registra però anche le due esplosioni tragiche del taxi spaziale (Challenger nel 1986 e Columbia nel 2003), che mettono in profonda crisi l’agenzia, fino alla chiusura definitiva del programma nel 2011. Una vera sconfitta per il paese leader, che non ha nemmeno un piano B e, da quel momento in poi, dovrà chiedere un passaggio ai russi per far arrivare i propri astronauti nella stazione spaziale o per altre missioni. Non solo loro, anche tutti gli altri faranno la fila per un posto in navicella.

L’atmosfera politica è cambiata, ovviamente, e la cooperazione internazionale è diventata una prassi, ma senza le antiquate e vecchiotte navicelle Sojuz nessuno sarebbe più volato nello spazio. Baikonur è diventato il centro fondamentale di training per aspiranti astronauti e, oggi, la lingua russa è diventata obbligatoria per poter esercitare quella professione (solo di recente, quel pazzo visionario di Elon Musk, con le sue navicelle targate Space X, ha ridato l’indipendenza alla NASA per le missioni americane 100%).

Resta l’onestà storica di dover ammettere una giusta revisione, che rimetta le cose a posto, equilibrando i successi con le sconfitte, di fatto restituendo quanto è dovuto ai russi, anche se questo fa un po’ a cazzotti con la nostra tradizione occidentalista.

In definitiva, è questo il vero messaggio da cogliere oggi, oltre a ricordarci di Yuri e del suo gesto eterno: il progresso non viene solo da salti tecnologici e geniali, ma anche dalla costanza del lavoro più oscuro e dietro le quinte di chi, prima o poi, ti permetterà di essere pronto al momento giusto per andare avanti, senza pause, verso le sfide del futuro.

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