LA RIVOLUZIONE DI DE BRUYNE, GIGANTE IN MEZZO AI NANI

Kevin De Bruyne

di LUCA SERAFINI – Certo, si è seduto al tavolo con il vantaggio di avere in mano belle carte davvero, Kevin De Bruyne, 30 anni il prossimo giugno: uno scudetto in patria al Genk (Belgio), coppa e supercoppa di Germania al Wolsburg, 9 titoli con il Manchester City, giocatore dell’anno 2020 in Premier League.

Conoscendo perfettamente 4 lingue, il dialogo con lo sceicco Mansour proprietario del club è scivolato via fluido e senza pause. Tanto più che De Bruyne non ha il procuratore, quindi ha parlato in prima persona, ha ascoltato e alla fine la ventina di milioni netti di sterline che porterà a casa fino al 2025 se li metterà in tasca tutti lui, non ci sono commissioni da riconoscere a chicchessia e questa è la prima parte rivoluzionaria della vicenda.

La seconda riguarda la strategia. L’asso poliglotta del City, prima di iniziare la conversazione con lo sceicco, ha appoggiato sul tavolo un computer, alcuni fogli e una penna, dopo di che ha illustrato a Mansour i risultati di un meticoloso studio condotto grazie a un database, con cui ha calcolato l’incidenza delle sue giocate nelle partite, nei risultati del ManCity, negli assist, nei gol, nei chilometri percorsi, finendo con il confronto rispetto alle partite giocate dalla squadra allenata da Guardiola quando De Bruyne non era in campo.

Sorrisi e strette di mano, firma in pochi minuti. Una firma che soltanto 3 mesi fa appariva assai lontana: sceicco o no, anche Mansour voleva adeguarsi alle ristrettezze del momento e quindi aveva fatto trapelare tra i tesserati del suo club l’intenzione di porre un freno ad acquisti sfrenati e ingaggi da Paperone.

Come non detto, con De Bruyne ha fatto in settimana un dietrofront secco e deciso. Non c’è da aggiungere molto: l’esempio del fuoriclasse belga mette fuorigioco mercanti e mercenari, spazza via il tetto salariale con argomentazioni inoppugnabili (certo, lui lo può fare, ma potrebbero farlo anche le società con i giocatori che rendono assai meno di De Bruyne e cioè la stragrande maggioranza, in Europa), prende, incassa, porta a casa e quando si alza saluta in olandese, francese, inglese e tedesco.

E così, oltre alla scelta del fai da te, “Ginger Pele” – questo il suo soprannome – potrebbe aver aperto una nuova frontiera nel calcio mondiale. Magari non una rivoluzione tipo Bosman (che chiuse l’epoca dei calciatori impacchettati come scatole e scambiati tra club, aprendo quella delle trattative private e soprattutto dei procurator)i, ma comunque una svolta: quella molto semplice di parametrare l’ingaggio al rendimento. Troppo facile anche per i cervelloni che guidano il calcio, mi sa. E troppo pericolosa per quelli che lo giocano. Quindi non facciamoci troppe illusioni.

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