L’ultima indagine ci evidenzia che il 71% dei talenti italiani all’estero sta valutando di rientrare. Perbacco, perché mai? In testa alle risposte, con uno schiacciante 82%, svetta «il ricongiungimento con i propri familiari». Piuttosto normale, si potrebbe pensare. Però stiamo parlando dei nostri migliori ragazzi, tanto per capirci l’esatto contrario dei bamboccioni che stazionano pigri in famiglia mediamente fino ai trentatré anni. Loro hanno lasciato il nido presto per spiccare il volo, inseguendo le proprie ispirazioni e capacità, per fare la carriera che si meritano. E adesso? Sentono il richiamo della pasta col ragù della mamma, manca il sorriso del nonno, hanno nostalgia della partitella a pallone con gli amici?
Strano, molto strano. Approfondendo meglio, scopriamo che c’è un motivo decisamente più terreno e materiale: il Covid ha ridotto di molto le posizioni promettenti in giro per il mondo, sfumano le chance sognate. Ripensare all’Italia non è poi così male, dunque. «Magari mio padre può fare una telefonata al suo amico, potrei riattivare i contatti persi e penso che, in un modo o nell’altro, da noi qualcosa si può arrangiare», può essere il pensiero dei nostri talentuosi. Prima che diventino sbandati di successo, sarebbe meglio tentare qualcosa. Come fare?
È una sfida che è pane quotidiano per le aziende. La migliore soluzione per riavere persone in gamba è non farle andar via. Una frase degna di Catalano, ma la prevenzione funziona davvero, in questi casi. Ci sono delle precondizioni da rispettare perché le cose vadano bene.
Innanzitutto conoscere bene chi lavora con te, a fondo. Per conoscere le persone, bisogna ascoltarle e parlarci costantemente. Osservare come si comportano nelle varie situazioni e scoprire le loro attitudini. In seconda battuta, fare continue valutazioni condivise per aiutarli a crescere e investire tanto in formazione. Una volta stabilite in chiaro aspettative e opportunità, essere rapidi nel rispondere con azioni appropriate nel caso di “tentazioni” del mercato. Dimostrare che l’azienda è attenta ed è in grado di decidere con tempestività.
Da tempo non esiste più quello che si chiamava un percorso di carriera con tempi stabiliti e avanzamenti sicuri. L’incertezza ha spazzato via questi piani, soprattutto perché organizzazioni e società si sciolgono e si rimettono insieme con nuove forme alla velocità della luce. Il capo che ti deve promettere una prospettiva di anni può non esserci più la settimana dopo. L’esempio più lampante è l’esperienza in una filiale all’estero. Una volta era un classico molto ambito, perché ti garantiva un ritorno in sede con più mostrine sulla giacca (e un’invidiabile padronanza di una lingua imparata sul serio): oggi, il rientro è addirittura a rischio perché semplicemente il tuo posto può essere stato cancellato.
Anche i manager devono sapere che l’investimento su una persona può essere “a perdere” perché magari non è sufficiente per trattenerlo. Succede. Però nel tempo in cui lui lavora, il suo rendimento è comunque di più alto livello: sono cambiati i confini temporali, il lungo termine è un concetto che vale solo per gli indirizzi generali. Bisogna sapere anche dare il giusto spazio ai potenziali, senza paura che la loro bravura ti metta in ombra. Dimostriamogli che siamo cambiati anche noi, in meglio. Che si possono fidare. Non facile, non immediato per tutti, ma è l’unica via per migliorare la qualità e combattere il declino verso una mediocrità che sta avanzando troppo velocemente. Adesso sappiamo che il profumo di una pizza margherita li può attirare come un pifferaio magico, diamoci da fare senza esitazione per farli tornare a casa.