QUELLI CHE INVADONO L’ITALIA PER STRAFOGARSI, MA “PER LAVORO”

Da poco tempo l’embargo dei viaggi all’estero per Covid in molte multinazionali è stato tolto, dopo una quarantena di oltre due anni. Di fatto, è come se un attacco di voraci cavallette si abbattesse sull’Italia. Di colpo. Anche da queste cose si capisce che siamo il Belpaese più amato dai colleghi stranieri, inteso come mangiare e bere bene, soggiornare ancora meglio e godersi serenamente un piacevole clima. Certo, c’è anche da lavorare, allora bisogna inventarsi una bella agenda che giustifichi la trasferta. Il classico è un aggiornamento delle attività e la supervisione di certi progetti in corso, il tutto condito dalla ripresa dei rapporti in presenza. Fondamentali. La maggior parte di queste cose, in questo difficile periodo, le abbiamo fatte tranquillamente e ancora più efficacemente seduti davanti al pc.

Non posso arrestare il flusso per ragioni di ruolo, ma cerco di limitare quanto più possibile permanenze non strettamente necessarie. Mi rendo conto che è molto indelicato, non vorrei passare dall’immagine di accogliente italiano al tipico manager frugale che guarda al sodo. E’ che non siamo più abituati e il taglio dei viaggi di lavoro è stato uno dei pochi effetti collaterali positivi della pandemia. Chi viene a visitare le filiali sono di solito i colleghi che lavorano nel cosiddetto headquarter/casa madre e che, sotto sotto, hanno il compito di vigilare e controllare che tutto sia svolto secondo le regole. Con buona pace di chi non è in cattiva fede, assomigliano spesso a dei piccoli spioni che devono rassicurare i grandi capi a migliaia di chilometri di distanza. Non si può ammettere formalmente, nessuno lo accetterebbe mai, ma sottilmente l’istinto di verificare l’operato locale è innato nel ruolo e nel DNA di quelli che stanno al centro. E’ un gioco sottile e a volte ambiguo, che si regge su una cordialità garantita da sorrisoni a 32 denti, sonore pacche sulle spalle e scambi di battute stravolte da traduzioni frettolose. Ma la verità verrà a galla più tardi, leggendo i report e i commenti fatti al rientro. Ecco perché bisogna usare il mestiere con la massima onestà, siamo tutti nelle stesso team, d’accordo, “Yes, Mr. Magri, we came just to help you” (siamo qui solo per aiutarvi), però non siamo certo nati ieri.

Con un buon bicchiere di vino italiano in mano, un top manager del gruppo, una volta, mi confidò che era completamente contrario al “business tourism”, una bellissima definizione per descrivere una certa abitudine di viaggiare a vuoto con la scusa del lavoro, comune a tante aziende. Sorseggiando piacevolmente il rosso, riflettevo perché questo flusso non vada al contrario, cioè dall’Italia verso le varie sedi europee. Noi italiani siamo così attenti alla produttività delle visite o, più semplicemente, facciamo fatica a lasciare la Grande Bellezza per oscure e anonime sale meeting, magari disperse nel mezzo del nulla?

 

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