QUELLE GEMELLINE SIAMESI CHE FINALMENTE SI GUARDANO

Mi ricordo, così sarebbe l’abbrivio di Georges Perec. Mi ricordo certi film, mi ricordo certi libri, cercati tanti anni fa con spirito da rabdomante, nei quali si parlava di scherzi della natura, uomini, donne, bambini con i quali la genetica, il fato e le stelle avevano giocato sporco.

Quella fascinazione che colpisce a volte gli adolescenti, che scoprono il mondo e a volte a tutti costi inseguono il bizzarro e l’inconsueto, più per distinguere sé stessi che per ponderato interesse.

Donne barbute, ciclopici giganti, nani malinconici, prosaici ermafroditi e altro ancora, tutte burle della procreazione, e poi i gemelli siamesi.

Così affascinanti e così inquietanti, laddove il fascino è accompagnato da quella sensazione di inquietudine che col tempo, con gli anni e un poco di senno si trasforma in pietas, in comprensione, in rabbia poi, per l’infelice e iniquo destino che attende alcuni e non altri.

Questo per atterrare nell’attualità, in Israele, dove due gemelle siamesi sono state separate, a un anno dalla nascita. Una delle stramberie del creato per antonomasia, due sorelline appiccicate l’una all’altra dietro la testa, occhi che solo ora possono scrutarsi e scoprire che quel fardello non sarà per sempre. Ora non ne hanno coscienza, ma scopriranno nel tempo che quel fardello è stato tramutato in dono.

Una maledizione che ha consegnato alla storia vite in qualche modo doppie e in qualche modo simbiotiche, perché tagliare, recidere, separare non era possibile, perché ancora la scienza non poteva o perché in comune c’era la vita: un cuore, i polmoni, il cervello. Il sangue, l’aria, il pensiero.

Non le due gemelline israeliane, delle quali non so ma vorrei conoscere i nomi, delle quali non è possibile vedere ma vorrei scorgere gli occhi, dalle quali, a loro insaputa, splende una luce che spero illumini tutti noi, a dimostrazione che non servono apparizioni divine per credere che valga comunque e sempre provare a vivere.

Quasi sempre, so, perché certi irrimediabili supplizi nulla hanno di umano.

I medici israeliani per un anno intero hanno preparato questo intervento, il ventesimo del genere nella storia dell’umanità, simulando meticolosamente, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, i movimenti, i gesti, la concentrazione, l’amore anche, necessari per tentare l’impossibile, per dire alla natura che lei può sbagliare e per dire alla natura che l’uomo può aiutarla a porre rimedio.

Senza accampare presunzione di super poteri o superomismo. Qui non ci sono muscoli e addominali da sfoggiare sui social, non ci sono ingaggi miliardari, non ci sono pettegolezzi e stupidi egocentrismi, non ci sono like e non ci sono influencer.

Solo studio, dedizione, esercizio, amore immagino, e qualcosa a cui non so dare un nome, ma la cui sintesi so per certo inizia con la lettera u: uomo.

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