Quella fascinazione che colpisce a volte gli adolescenti, che scoprono il mondo e a volte a tutti costi inseguono il bizzarro e l’inconsueto, più per distinguere sé stessi che per ponderato interesse.
Donne barbute, ciclopici giganti, nani malinconici, prosaici ermafroditi e altro ancora, tutte burle della procreazione, e poi i gemelli siamesi.
Così affascinanti e così inquietanti, laddove il fascino è accompagnato da quella sensazione di inquietudine che col tempo, con gli anni e un poco di senno si trasforma in pietas, in comprensione, in rabbia poi, per l’infelice e iniquo destino che attende alcuni e non altri.
Questo per atterrare nell’attualità, in Israele, dove due gemelle siamesi sono state separate, a un anno dalla nascita. Una delle stramberie del creato per antonomasia, due sorelline appiccicate l’una all’altra dietro la testa, occhi che solo ora possono scrutarsi e scoprire che quel fardello non sarà per sempre. Ora non ne hanno coscienza, ma scopriranno nel tempo che quel fardello è stato tramutato in dono.
Una maledizione che ha consegnato alla storia vite in qualche modo doppie e in qualche modo simbiotiche, perché tagliare, recidere, separare non era possibile, perché ancora la scienza non poteva o perché in comune c’era la vita: un cuore, i polmoni, il cervello. Il sangue, l’aria, il pensiero.
Non le due gemelline israeliane, delle quali non so ma vorrei conoscere i nomi, delle quali non è possibile vedere ma vorrei scorgere gli occhi, dalle quali, a loro insaputa, splende una luce che spero illumini tutti noi, a dimostrazione che non servono apparizioni divine per credere che valga comunque e sempre provare a vivere.
Quasi sempre, so, perché certi irrimediabili supplizi nulla hanno di umano.
I medici israeliani per un anno intero hanno preparato questo intervento, il ventesimo del genere nella storia dell’umanità, simulando meticolosamente, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, i movimenti, i gesti, la concentrazione, l’amore anche, necessari per tentare l’impossibile, per dire alla natura che lei può sbagliare e per dire alla natura che l’uomo può aiutarla a porre rimedio.
Senza accampare presunzione di super poteri o superomismo. Qui non ci sono muscoli e addominali da sfoggiare sui social, non ci sono ingaggi miliardari, non ci sono pettegolezzi e stupidi egocentrismi, non ci sono like e non ci sono influencer.
Solo studio, dedizione, esercizio, amore immagino, e qualcosa a cui non so dare un nome, ma la cui sintesi so per certo inizia con la lettera u: uomo.