QUEL GRAN GENIO DI BUFFON: L’IMPORTANTE E’ INSULTARE IN BUONAFEDE

Sono riusciti a farci venire il latte alle ginocchia persino con una cosa apparentemente seria come il razzismo. O forse sarebbe più giusto dire che è il pallone, con i personaggi che gli girano intorno, a farci cascare le braccia, non solo sul tema della tolleranza.

Dopo due sconcertanti settimane di squallide rincorse verbali e social tra Acerbi e Juan Jesus, esentate dalla vertenza le scimmiette cieche sorde mute che erano in campo (arbitro, giocatori, guardalinee, quarti uomini eccetera), oscurate le telecamere, in qualche caso invertiti i ruoli tra i protagonisti a seconda del tifo, hanno chiuso in bellezza il presidente patteggiatore della FIGC, Gravina (“La giustizia sportiva è snella e funziona, abbraccerò Acerbi”, mancava solo: “Si fotta Juan Jesus”), e l’immancabile Gigi Buffon negli studi di “Stasera c’è Cattelan”.

Il portabandiera azzurro – forse non è un caso, riflesso nello specchio dei tempi – ha circoscritto tutto il casino liquidandolo con un buonismo che nemmeno il Papa durante questa Pasqua di resurrezione: “L’importante è che se si sbaglia, lo si faccia in buona fede e senza voler ferire qualcuno”, perché, puntualizza, “a quel punto sarebbe molto grave”.

Dunque, ricapitoliamo. Nonostante una specifica postilla del regolamento della “snella” giustizia sportiva, secondo cui una denuncia basta (basterebbe) e avanza (avanzerebbe) per squalificare un avversario che ti insulta discriminandoti (esistono precedenti), l’assenza di testimoni, prove e video ha portato all’assoluzione del denunciato secondo il principio della tua parola contro la sua. Che, in giurisprudenza, vale anche in casi assai più efferati come la violenza domestica o addirittura lo stupro – sempre, ripeto, in assenza di testimoni e prove -. La signora Acerbi rivela aggressioni più o meno verbali a lei e ai figli, il signor Acerbi si sfoga per essersi liberato di un peso, il signor Juan Jesus risorge con intenti bellicosi in sede penale senza arrendersi alla sentenza del tribunale sportivo, il Calcio Napoli annuncia che non parteciperà più a campagne anti razzismo.

Come canta Mina, e poi e poi e poi la chiosa di Gianluigi Buffon, il quale insinua il germe della buona fede. Interessante risvolto, manna anche per gli avvocati in sedi penali e civili. Ti sparo, ma in buona fede: immaginavo fossi ricco mentre io non lo sono. Ti eviro, ma in buona fede: pensavo fossi tu l’amante di mia moglie. Ti meno, ma in buona fede: credevo fosse tua l’auto in seconda fila che mi impediva di uscire. Ti insulto, ma in buona fede: ti ho scambiato per il direttore della filiale che mi ha fatto pagare una barca di commissioni sulle operazioni. Scommetto, ma in buona fede: ho la ludopatia. Faccio pubblicità alle agenzie di scommesse, ma in buona fede: non istigano alla ludopatia, appunto. Ti offendo, ma in buona fede: non sono mica io il negro.

Ma se sapevo che tu non sei ricco, che non mi hai fatto cornuto, che hai un’altra auto, che non somigli affatto a quell’altro, che non ho la ludopatia e ho bisogno di soldi o semplicemente mi diverto, se ho visto benissimo che la tua pelle è nera, allora è grave. Dal Vangelo secondo Gianluigi. Domanda: ma quale giudice stabilisce la buona fede senza “la sua parola contro la tua”?

Quisquilie. Alla fine ho sempre pensato che anche a una brava persona possa partire l’embolo qualche volta, dipende di che embolo stiamo parlando però. E in tutta questa storia più che di emboli si tratta di lealtà, sincerità, onestà, buon senso, cioè tutti ingredienti introvabili, che mi hanno fatto nascere una spontanea simpatia per Juan Jesus, un povero pirla di colore che ha frainteso, rovinando la festa dell’ennesima campagna antirazzista.

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