BASTASSE NON CHIAMARLI PIU’ HANDICAPPATI

A quanto pare sta arrivando un bastimento e nella stiva trasporta addirittura una rivoluzione, cose mai viste e cose mai pensate.

Ce lo dice la Ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, una colata di pensieri e parole destinati a cambiare per sempre il modo di percepire, accompagnare e trattare le persone con handicap. Anzi no, già qui bisogna fermarsi, perché tra i punti salienti c’è l’abolizione proprio della parola handicap.

“Stiamo attraversando un momento storico in cui c’è una rivoluzione nella presa in carico della persona con la disabilità, con la legge delega tocchiamo alcuni punti fondamentali, e qualcuno deriva direttamente dalla Convenzione Onu, come il principio dell’accomodamento ragionevole e questo deve essere uno strumento utilizzato nel mondo del lavoro, della formazione, nel mondo della vita quotidiana, in tutti i casi, ma poi andiamo a cancellare nelle leggi ordinarie parole come “handicappato e portatore di handicap”.

Lo dice lei, come si vede, si parla di rivoluzione.

A parte il fatto, trascurabile sia chiaro, che alla maggior parte delle persone disabili che conosco nulla importa di essere chiamati disabili e handicappati, questa benedetta legge delega dovrebbe salvare il mondo, o almeno il mondo dei portatori di handicap. Di disabilità, va bene, ci vorrà un po’ per abituarsi.

Poi, la ministra Locatelli continua: “La battaglia più grande sarà la formazione per far capire a tutti – con 20 milioni di euro messi a disposizione – che la formazione è l’unico strumento per superare le frammentazioni”. “Bisogna abbandonare quell’approccio assistenzialistico e di vittimizzazione per mettere al centro la persona con le sue potenzialità. È un salto di qualità fondamentale per affrontare le sfide del futuro”.

Venti milioni sono un po’ pochini, viene da controbattere, ma non voglio essere prevenuto, quelli bravi con poco fanno miracoli. Piuttosto mi preoccupano le frammentazioni e anche quel bellissimo e innovativo proclama sull’abbandono dell’approccio assistenzialistico e della vittimizzazione per mettere al centro la persona e le sue potenzialità.

Vengono i brividi a pensare quale ardimento abbia portato a concepire tali propositi. Vengono i brividi a pensare quale futuro radioso attende le persone disabili.

Da tempo poi si sa, la ministra ha deciso di giocare il tutto per tutto, di mostrare la sua assoluta spregiudicatezza e spiccare il salto nel vuoto, nell’inesplorato territorio del “progetto di vita”. Chi mai aveva pensato al progetto di vita delle persone disabili? Chi mai aveva osato tanto?

Concedendole l’applauso per aver preso l’impegno di abolire le periodiche visite di rivedibilità, cara signora Locatelli, conceda anche a noi però il beneficio del dubbio. Tutte le istanze che lei mette sul piatto sono già state servite e riscaldate un’infinità di volte. I proclami e le belle intenzioni sono seducenti, fanno audience e portano voti, ma tutti quanti aspettiamo un tempo nel quale i proclami vengano dopo le azioni, dopo i fatti.

Per ora rimaniamo aggrappati ai tagli alle sovvenzioni per i caregiver e alle manovre per le persone con grave disabilità, a questo noi siamo rimasti. Avete prospettato sistemi e soluzioni integrate (parole ministeriali), che nessuno ha compreso e, se mi permette, le ribadisco che ai miei amici handicappati poco importa come vengono chiamati, solo vorrebbero ricordarle che di progetto di vita si parla da decenni, lei forse era ancora una ragazzina. Porti decisioni concrete, soldi, aiuti, un’organizzazione solida, competente, motivata e allora le daremo ragione, le diremo che finalmente ha senso parlare di progetto di vita da parte dell’amministrazione pubblica.

Nel frattempo, signora Locatelli, sappia che di progetto di vita e di tutto il resto si parla con cognizione, competenza, dedizione e umanesimo in ogni contesto educativo e assistenziale che si rispetti. Da tempo.

Se lei vuole dare il suo contributo, ne siamo lieti, ma sia consapevole che per ogni parola non accompagnata da fatti non le verrà risparmiata alcuna ferocia.

Alla fine ho deciso di chiamarla signora, che mi pare comunque un appellativo estremamente rispettoso, e non si offenda. Il titolo, ministro o ministra inclusi, va guadagnato sul campo, non basta l’investitura, per quel che mi riguarda. Se sarà il caso, se l’avrà meritata, per la vera investitura ne parliamo a fine mandato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *