QUEGLI AUGURI DI MORTE A UN GIOCATORE E AL SUO BIMBO

Se c’è una cosa in cui i social riescono alla perfezione è mostrarci in che grado di povertà culturale si trova la nostra società.

Povertà proveniente quasi sempre da individui restii a metterci la faccia, rigorosamente anonimi, specie quando devono insultare, denigrare o rendersi autori di bassezze mostruose.

Li riconosci subito: account senza foto, con nomi fittizi, alle spalle persone arrabbiate, probabilmente infelici, piene di odio e dannatamente superficiali.

L’ultimissima: sotto una foto pubblicata dal terzino del Milan Theo Hernandez insieme al figlioletto di un anno, un branco di stupidi ha pensato bene di augurare la morte sia a lui che al piccolo, su tutte l’illuminata frase “Devi fare la fine di Vialli”. Giusto per confermare – qualora ce ne fosse stato bisogno – come odio e calcio vadano spesso a braccetto.

I commenti provenivano da tifosi del Napoli con il dente avvelenato. Non solo nei confronti del Milan – colpevole fino ad oggi di aver umiliato il Napoli in campionato e averlo ingabbiato nella sfida d’andata di Champions League – ma anche nei riguardi dello stesso Hernandez.

Il tutto per un gesto goliardico che il francese, mercoledì scorso, ha commesso nei confronti del napoletano Lozano.

Questioni di campo, generati da un eccessiva adrenalina a cui, onestamente, non bisogna dare il minimo peso.

È bastato questo infantile e innocente gesto a scatenare l’odio di uno spaccato di tifoseria ignorante, che ultimamente ha scambiato il calcio per una guerra, lo stadio per un’arena e i cortei per delle spedizioni punitive.

E c’è persino chi li giustifica, rivendicando che mesi fa alcuni tifosi milanisti insultarono l’attaccante del Sassuolo Domenico Berardi pressoché nella stessa sporca maniera e che, quindi, adesso non bisogna indignarsi.

Questo modo di ragionare è forse peggio degli insulti stessi. Il volersi fare scudo sui precedenti rimasti impuniti come lasciapassare per continuare a rendersene protagonisti. Proprio una bella logica.

Un clima di assurdo conflitto alimentato, purtroppo, anche dalle polemiche scatenate da Spalletti sulla bandierina rotta da Leao e dai quegli pseudo giornalisti napoletani che hanno inveito contro l’arbitro Kovacs nella mixed-zone urlandogli ” vergogna” per come ha condotto il match.

Pretesti che evidentemente son bastati a chi non aspettava altro per liberare la propria stupidità, in un contesto che col calcio c’entra ben poco.

Ad andarci di mezzo non sono soltanto gli Hernandez o i Berardi di turno, i tifosi perbene, i bambini, i figli dei calciatori, ma il messaggio positivo di cui da sempre lo sport si fa portavoce.

Certa gente non deve più in nessun modo nuocere a cose o persone, questa la verità. L’illusione. L’utopia. I social andrebbero rivoluzionati: un bel patentino con tanto di registrazione tramite documento d’identità, così che chi vi interagisce inizierà a dare peso alle proprie parole. E magari a risponderne.

Troppo facile insultare gratuitamente e farla franca come se nulla fosse. Alla prima fuori dal vaso, una bella denuncia e avanti il prossimo. Prima di tutto, però, mordiamoci la lingua ogni qual volta ci rivolgiamo a loro con il termine “tifosi”. Non lo sono, non lo sono mai stati e dubito avranno l’intelligenza e il cuore per poterlo mai essere.

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