NOI PROF ITALIANI: COSI’ CI HANNO RIDOTTI A SOGNARE SOLO LA PENSIONE

Pare che gli insegnanti si siano stufati di fare tutto, tranne che insegnare: quest’anno, tra loro, le domande di pensionamento sono aumentate del 24%. I sindacati, che, come al solito, di scuola non hanno capito nulla, danno la colpa ai genitori aggressivi e agli studenti fragili: credetemi, tutte balle.

Gli insegnanti se ne vogliono andare prima possibile dalla scuola, semplicemente perché non è più scuola: la pubblica istruzione, non si dice dai tempi del De Amicis, ma anche solo negli ultimi quarant’anni, di cui il vostro affezionatissimo è stato, ahilui, testimone oculare, è divenuta un autentico girone dantesco.

Come ho già scritto mille volte, inascoltata Cassandra, per cominciare, l’insegnamento è diventato una sorta di ruolo sociale, che nulla ha a che vedere con la trasmissione del sapere: uno studia le cose più belle che l’umano scibile abbia concepito, per andare a fare l’infermiere, il mediatore culturale, lo psicologo, il travetto. Sa di beffa, lo ammetterete, essere educati alla bellezza e, poi, ritrovarsi in mezzo alla bruttura più grigia e tetra che mente umana possa concepire, tra Abdullah che non capisce una parola d’italiano e Teresina che sogna solo di tagliarsi le vene. Sui genitori di Abdullah e Teresina, glisso: ci pensano già i sindacati.

La scuola italiana fa schifo, signori miei: fa schifo tanto da sembrare un malato irrecuperabile. E’ un ambiente di poveri cristi, mezzi morti di fame, che non hanno più potere d’acquisto né prestigio sociale e si trascinano, come stanchi lemuri della cultura, verso l’agognata giubilazione. Fate conto che io pago di più la badante di mia madre, volonterosa signora ucraina senza particolari titoli, di quanto lo Stato paghi me, educato nelle migliori scuole del regno e uscito da una selezione a imbuto di quelle che fanno paura.

Per quale ragione, dunque, una persona sana di mente dovrebbe desiderare di rimanere in questo ricovero per disperati, se le viene data la possibilità di fuggirne? Voi non ve ne rendete conto, ma, dal di dentro, la scuola è diventata veramente un posto da evitare: altro che pensare di fidelizzare gli studenti, di attirarli con le false promesse degli open day. Non importa cosa fai e come lo fai: importa solo la rendicontazione, la compilazione di tabelle e moduli, che testifichino della compiuta incombenza. Che tu capisca o meno quello che spieghi, se avrai compilato tutti i papelli che ti sono arrivati dalla segreteria, sarai un buon insegnante: i piani di lavoro, la programmazione, i pdp, le millanta dichiarazioni, certificazioni, valutazioni, misurazioni e il diavolo che se le porti tutte quante!

Ovvio che gli insegnanti cerchino di vivere bene perlomeno quel poco di vita che resta loro, dopo quarant’anni d’insegnamento: ci arrivano usurati, umiliati, arrabbiati. Ma, perlomeno, ci arrivano. A volte. Perché, giusto l’altro giorno sono stato al funerale di un mio collega e amico: un docente pieno di entusiasmo, coinvolgente per i ragazzi, colto. Uno che ha scritto bei libri: non uno dei soliti che tirano a campare massacrando Boccaccio o Riccati.

Ebbene, a sessantasette anni compiuti, è andato in pensione e, dopo nemmeno sei mesi, un coccolone se l’è portato via. La sorte, a volte, sa essere crudelmente beffarda. E, allora, anda, se potete: petere fugam! Cominciano a intravvedersi le crepe di quel disastro annunciato di cui ho scritto anni fa in un mio libretto: e sono crepe che si allargano a vista d’occhio. L’esodo dei neopensionati non è che l’inizio: la situazione può solo peggiorare. E non dite che non ve l’avevamo detto.

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