QUALCUNO FERMI I DEMENTI CHE SBATTONO I FIGLI IN PASTO AI SOCIAL

La parola è orribile, orribile anche in inglese e convengono pure gli anglosassoni: sharenting, matrimonio combinato tra sharing, condividere, e parenting, fare il genitore, su per giù.

Si tratta della mania, di per sé patologica, di voler diffondere immagini dei propri figli, per lo più minori evidentemente, visto che poi fanno da soli. Dalla sala parto alla terza media almeno, è tutto un frenetico postare di scatti memorabili per mostrare le gioie di famiglia.

Fotografie che un tempo venivano scattate con parsimonia e custodite negli album di famiglia, anche perché sviluppare il rullino costava, ma ora non più e quindi liberi tutti. Ora si può fare clic all’infinito, salvare il salvabile e prontamente metterlo in rete perché tutto il mondo sappia quant’è bello ‘o scarrafone.

Le immagini circolano, la gente mormora, il garante si interroga. Tutto quel che circola mica è autorizzato dai pargoli, che penseranno una volta cresciuti? Come vi siete permessi penserà qualcuno. Già tra genitori si avverte maretta, la mamma posta e il papà si oppone, il papà condivide e la mamma accampa l’emicrania. Così non va, non va proprio.

In Francia stanno per partorire una legge che imponga limitazioni, che definisca restrizioni in merito all’età e garantisca tutela nei confronti dei minori, anche per evitare le derive pedopornografiche tutt’altro che infrequenti. In Italia cominciano a parlarne, il Garante per la privacy ha già preso all’amo un paio di volte la Meloni con l’esca dello sharenting. Stiamo tutti alla finestra trepidanti.

“Il quotidiano della PA (Pubblica Amministrazione)” diffonde un articolo con “suggerimenti ai genitori per limitare la diffusione online di foto dei propri figli”, e premette: “E’ bene riflettere sul fatto che postare foto e video di diversi momenti della vita dei minori, magari accompagnati da informazioni tra cui l’indicazione del nome o l’età o il luogo in cui è stato ripreso, contribuisce a definire l’immagine e la reputazione online.

Ciò che viene pubblicato on line o condiviso nelle chat di messaggistica rischia di non essere più nel nostro controllo e questo vale maggiormente nel caso dei minori. Quando qualcosa appare su uno schermo, non solo può essere catturato e riutilizzato a nostra insaputa da chiunque per scopi impropri o per attività illecite, ma contiene più informazioni di quanto pensiamo, come ad esempio i dati di geolocalizzazione.

Chiediamoci sempre se i nostri figli in futuro potrebbero non essere contenti di ritrovare loro immagini a disposizione di tutti o non essere d’accordo con l’immagine di sé stessi che gli stiamo costruendo.

È bene essere consapevoli che stiamo fornendo dettagli sulla loro vita e che potrebbero anche influenzare la loro personalità e la loro dimensione relazionale in futuro”.

E poi via con i suggerimenti nel caso proprio non si riesca a dominare la compulsione, cioè quasi sempre.

La sconfitta, irreparabile temo, è che su un tema del genere si debba pensare di legiferare, che su una questione tanto delicata e tanto ovvia in apparenza, ci debba essere un controllo parentale o tutorale sui genitori: il corto circuito perfetto.

E torno al parenting dell’esordio: fare il genitore, su per giù si diceva, approssimato per difetto.

Ma evidentemente la frutta è sempre più il piatto del giorno.

Un pensiero su “QUALCUNO FERMI I DEMENTI CHE SBATTONO I FIGLI IN PASTO AI SOCIAL

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Io credo che il danno peggiore non riguardi il futuro dei figli, cioè il momento in cui si renderanno conto che la loro immagine appartiene anche ai social. Credo che il danno sia in itinere, durante il percorso storico che li vede protagonisti degli scatti ossessivo compulsivi dei genitori che credono e sperano di scaricare le proprie frustrazioni catturando momenti di una memoria che viene purtroppo svalutata nel suo significato più profondo, che non è certamente quello di accumulare istanti casuali a casse, privando del giusto spessore e valore le immagini di una vita. Quei genitori fanno danno perché trasmettono al bambino indifeso un valore che riguarda l’esteriorità, l’apparenza, il fuori. Proprio ieri ho visto una ragazzina andare a sbattere contro un palo mentre si fotografava con il suo telefonino. Io che sono così romantica, in questa società di carta velina, penso che le leggi alla fine diano un messaggio. Che dobbiamo fare se i genitori non ascoltano? Organizzare dibattiti televisivi sull’argomento? Distribuire volantini? Fissare incontri con esperti? A chi serve? A chi è già sensibile, mi rispondo. La parola LEGGE invece, qualche attenzione in più la attira…sono arrivata a pensare questo. A pensare come i pubblicitari, non cosa serve, cosa può attirare l’attenzione. Magari la legge farla dopo un caso grave, ridondante, che riesca ad entrare nelle case di tutti. Ecco forse così…qualcuno in più volta lo sguardo e pensa per qualche secondo.

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