PIU’ PIERRE DI SE STESSI CHE TOP MANAGER DI STATO

Puntualmente, ad ogni scadenza delle cariche di punta delle grandi società pubbliche assistiamo a quello che viene descritto in modo vetero manageriale “il valzer delle poltrone”. I cosiddetti boiardi di stato, manager che navigano con scioltezza tra cariche istituzionali e appartenenze politiche più o meno palesi. Pezzi grossi che gestiscono organizzazioni mastodontiche, che occupano posizioni di mercato rilevanti in settori strategici. Formalmente si possono definire top manager, visti più da vicino li descriverei come eccellenti uomini di relazione e dotati di abiliti doti di rappresentanza ad alto livello, una sorta di ambasciatori.

Leggendo i loro curriculum non c’è niente da dire: la militanza in prestigiose aziende a partecipazione pubblica, normalmente con incarchi di crescente responsabilità, testimonia la giusta frequentazione che rassicura tutti. Perfetti pedigree per farsi ben volere e conquistare la famosa “stanza dei bottoni” (e con questa definizione chiudiamo le metafore). Quello che manca quasi sempre è una striscia di chiari risultati che possano dimostrare i risultati effettivamente conseguiti. Lo dico perché è ciò che normalmente viene richiesto nelle aziende private, in cui non basta vantare la permanenza in società blasonate, contano molto di più i fatti.

Questo è il punto debole della questione. Non ci preoccupiamo di utilizzare i talenti più bravi per questi posti chiave, pensiamo ancora a presentare gente collaudata, di bella presenza pubblica, di alto gradimento all’area di confluenza, a come strizzano l’occhio a chi ci interessa. Basta leggere i giornali e il tono delle discussioni verte quasi esclusivamente sugli accordi e polemiche tra i partiti. Invece, sarebbe proprio questa la magnifica occasione per scegliere i migliori professionisti sul mercato, quelli che potremmo chiamare puri “tecnici” per dirla nel gergo diffuso. Un’occasione persa per dare una segnale di discontinuità con la consueta ritualità.

Non ditemi che la novità sta nella prima donna al comando di un grande ente, è solo un timido segnale. Le altre facce sono sempre le solite, ricicli di persone buone per tutte le stagioni, che scandiscono una storia già vista. Flavio Cattaneo di nuovo alla ribalta, adesso AD del colosso Enel, dopo una carriera impeccabile, o quasi. Non ci dimentichiamo della sua fugace presenza di sedici mesi in TIM, che gli ha procurato l’invidiabile sommetta di 25 milioni come fine rapporto, senza che si siano visti grandi risultati se non una sanguinosa macelleria del personale che ha procurato un effimero e breve miglioramento di profitto. Il suo di sicuro ha fatto un bel balzo. Ma gli viene perdonato tutto, d’altronde è considerato un cavallo di razza affidabile, nei salotti giusti non guasta il suo matrimonio con l’icona popolare Sabrina Ferilli. En plein di consensi.

Un’eccezione o una caratteristica personale occulta di questi grandi gestori della cosa pubblica, di cui trapelano difficilmente notizie grigie? Come servitori dello Stato dovrebbero avere molto a cuore gli interessi dell’Italia, mettendoli sempre al primo posto, prima dei propri, giusto? I dubbi sono più che legittimi

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