PIANO A DIRE CHE E’ SEMPRE COLPA DELLA CINA

Strani questi cinesi, non li intrappoli mai. Ovunque li metti fanno di testa loro e vorrebbero che anche tu facessi di testa loro. E spesso riescono a farci muovere come vogliono, sarà bene riconoscerlo.

Siamo abituati a vederci succubi e sotto l’influenza delle stelle e delle strisce americane, ma in realtà siamo più un’appendice delle misere quattro stelle cinesi, quelle che compaiono sulla bandiera di Stato.

Strani comunque questi cinesi, si diceva. Avvenimenti su grande o piccola scala si rincorrono raccontandoci un impossibile connubio culturale. Eppure della Cina non possiamo più fare a meno, e non parlo dell’accordo delle quattro arance che firmò il fiero Di Maio, convinto pioniere della nuova via della seta, parlo della dipendenza da materie prime, da metallurgia, da microchip, parlo di dipendenze vere, dipendenze da comodità e agi della vita moderna, senza i quali il logorio è garantito.

I cinesi sono strani, lontano anni luce per cultura, è vero, ma noi occidentali siamo così irreprensibili? E non avremo nel tempo pensato di poter cavalcare il dragone senza pensare alle possibili nefaste e irreversibili conseguenze? La cronaca di questi giorni mette sotto gli occhi di tutti il distacco e lo scollamento con altre nazioni del globo nella lotta per il clima e l’inquinamento e tutti, comprensibilmente, pronti a spernacchiare e dileggiare gli alieni orientali.

Peccato che tutti quanti si facciano belli con aulici, ecologici pensieri, immemori del fatto che l’insostenibile inquinamento prodotto laggiù sia causato indirettamente da noi, acquirenti ormai affiliati senza possibilità di sottrarci, costantemente in attesa che vengano sfornati i pezzi che ci tengono a galla, siano essi i pezzi di metallo che compongono le nostre automobili, o i pezzi al silicio che rendono efficienti i nostri telefoni, tablet e computer.

Per dire che la Cina è strana, ma noi ipocriti e pure con la faccia tosta.

Brescia organizza una mostra d’arte dell’artista dissidente cinese Badiucao e vedi un po’ questi impertinenti cosa fanno: intimano all’amministrazione comunale di recedere e annullare la mostra. L’amministrazione giustamente va per la sua strada e la mostra si farà, ma le cose non sono così semplici e geometriche.

Tutti ad applaudire l’integrità della città, tutti a sottolineare, giustamente ripeto, che nessuno si può permettere di censurare l’arte, la cultura e il diritto a promuoverla.

Peccato che tra i sostenitori delle iniziative artistiche culturali del Comune di Brescia vi siano aziende, con tanto di logo sempre in bella vista su locandine e materiali promozionali, che hanno fabbriche e interessi vitali proprio in Cina, e ora un po’ tremano per le possibili ripercussioni che potrebbero avere a causa del sostegno a questa iniziativa.

Un bel corto circuito insomma, che ha nel prefisso eco la spinosa costante. Ecologia, economia, sono i termini della questione, questione che riguarda, etimologicamente, la casa, l’ambiente, dal greco oikos, casa nostra, casa loro e la casa di tutti, questo bellissimo e ingarbugliato globo terracqueo col quale proprio non riusciamo a stare in armonia.

Cina e dintorni. Difficile aggirare i luoghi comuni e i presunti stereotipi quando si parla di Cina.

Il proverbiale storico isolamento non è più tale dal punto di vista fisico, del movimento in uscita e in entrata, ma da un punto di vista culturale e sociale la separazione pare inattaccabile.

Peccato che tutti quanti siamo pronti a denigrare quando i buoni pensieri e i buoni propositi non collimano, ma appena fiutiamo l’affare, la convenienza economica, siamo pronti a tuffarci come faine, poi quel che sarà, sarà.

Ma l’apparente indifferenza cinese nei confronti delle questioni climatiche ha responsabili sparsi ovunque, anche dalle nostre parti.

Ora sdrammatizzo, oppure no, non mi è chiaro, ma il vero peccato tutto cinese di questi giorni è poi il licenziamento dei tre storici magazzinieri della mia Inter. Esternalizzano, dicono, se vogliono lavoreranno per la ditta che prenderà l’appalto. Qui c’è una questione economica certo, che pure suona ridicola se pensiamo agli ingaggi medi dei giocatori, ma soprattutto qui sì c’è uno scollamento culturale.

Zhang e i suoi sonno arrivati e da subito hanno pensato “la storia siamo noi, la facciamo noi”, dove invece la storia erano e l’avevano fatta anche i magazzinieri. Ora pare che tra sindacati e curva dei tifosi ci sia uno spiraglio per il reintegro, ma la frittata ormai è servita.

Peccato, anche qui, che il tappeto ai cinesi qualcuno da questa parte deve pur averlo srotolato, e peccato che nessun altro da queste parte abbia pensato di calpestarlo quel tappeto, consapevole degli attivi ma soprattutto dei potenziali passivi.

Peccati, troppi peccati, comunque sia.

Non vedo santi, non vedo eroi. Niente di nuovo sul fronte orientale, e certo niente di nuovo nemmeno sul fronte occidentale.

 

 

 

 

 

 

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