PERCHE’ LE UNIVERSITA’ E LE SCUOLE SI STANNO DESERTIFICANDO

La scuola si porta appresso un numero imprecisato di maledizioni: dall’aforisma sul fatto che chi non sa una cosa la insegna, alla totale incompetenza di chi dirige la pubblica istruzione, la commenta o l’organizza: gli ultimi articoli sulla scuola italiana, comparsi su prestigiose testate che, evidentemente, si scopiazzano un pochino l’una con l’altra, avvertono in unanime allarme, che gli atenei si stanno desertificando e che chi è povero tende, dopo gli studi, a rimanere povero. Ammesso e non concesso che non cada preda dell’altro grande moloch scolastico, l’abbandono, che pare fare più vittime della Spagnola. Orbene, cari signori, che disquisite di ascensore sociale e di riallineamento, forse è venuto il momento di spiegarvi un paio di cosette, in modo chiaro e comprensibile: dopodichè potete pure tornare a gingillarvi con la guerra in Ucraina o col dopo Festival. Vi farei anche un disegnino, ma, su questo, il Direttore è severissimo e oltremodo fiscale: Cimmino, tutto, ma i disegnini no! Dovrete, perciò, accontentarvi.

Dunque, questo fantomatico ascensore sociale in cosa consisterebbe? Più o meno, nel fatto che, a prescindere dal proprio livello di partenza, economico, sociale, eccetera, chiunque abbia la possibilità di assurgere ai massimi gradi della società. Ora, è del tutto evidente che nessuna legge italiana impedisca a chicchessia di diventare Presidente della Repubblica, pur essendo figlio di un bracciante agricolo. E, allora, perché mai questo benedetto ascensore se ne sta fermo al piano terra, per un sacco di bravi ragazzi?

Presto detto. L’unico fattore di riscatto, per chi non abbia santi in paradiso o non provenga da classi sociali pressochè ereditarie e autoconservative, è il proprio merito: null’altro che il proprio merito. Il merito permette al ragazzo di umilissime origini di surclassare gli altri studenti, più fortunati di lui: e siccome il sistema è crudele, ma non è scemo, egli verrà preferito, in quanto genio povero, a tanti asini ricchi, nella scelta dei datori di lavoro, dei boiardi di Stato, delle categorie professionali. Viceversa, questa scuola e questa università, apparentemente così inclusive, bonarie, faciliste, azzerando la competizione e il merito, azzerano le chances di successo di chi non possa contare su famiglie benestanti e acculturate, su viaggi all’estero e lezioni private. Tutto chiaro, anche senza disegnino?

Ma veniamo all’abbandono scolastico, autentica fissa per eserciti di insegnanti in menopausa e di dirigenti in carriera. La dispersione è un altro modo per dire che un buon quattro per cento degli studenti molla gli studi e fa qualcos’altro. Se andiamo a vedere chi lo fa, scopriremo che la maggioranza di costoro proviene da famiglie disagiate, marginali o straniere. E qui ci ricolleghiamo al discorso precedente: una scuola che non ti offre un ascensore sociale, se tu vivi nello scantinato della casa, è una scuola che non serve a nulla. Mille volte meglio lavorare in nero, fare qualche lavoretto sporco o anche, semplicemente, ciondolare in giro: tanto, ciondolare per ciondolare…Non aggiungo parole sul mai abbastanza esecrato reddito di cittadinanza, che, lungi dall’essere un aiuto per i meno abbienti, si è rivelato un poderoso strumento per disincentivare la voglia di lavorare di mezza Italia. E, con la voglia di lavorare, anche quella di studiare, va da sé. Un Paese così è un Paese che non dà speranze né motivazioni ai ragazzi: che spinge inevitabilmente i giovani al: chi me lo fa fare?

Perché la scuola – e lo dice uno che ci ha speso vent’anni di vita da studente e un’altra quarantina da professore – funziona all’esatto contrario di quel che raccontano giornalisti, psicologi d’accatto ed esperti assortiti: prova ne sia che tutte le più bizantine trovate, le più sesquipedali scemenze, estruse dai mastri pensatori suddetti, non solo non hanno risolto il problema, ma hanno condotto il malato allo stato preagonico. E, adesso, ragliano i loro allerta perché le scuole perdono pezzi e studenti, perché le università stanno diventando deserti. E dov’erano, prima: quando questa catastrofe ha iniziato a mostrarsi?

Io, perlomeno, ci ho scritto un libro, in tempi non sospetti: perdibilissimo, per carità, ma in cui indicavo mali e rimedi.

Adesso lanciano lai e geremiadi, esattamente come prima intonavano peana su questa scuola tanto riformata da non essere più una scuola: e lamentano l’assenza di ascensori, quando loro per primi hanno sgomitato come un rugbista per conquistarsi una scrivania. Io me lo ricordo, perché c’ero. E qui non è questione di Gentile, di Berlinguer o di Gelmini: è questione di avere un po’ di onestà intellettuale e di coraggio. Il coraggio di ammettere di avere sbagliato tutto e di invertire la rotta. Ma ammettere di avere sbagliato vorrebbe dire prendere l’ascensore al contrario: dagli attici scendere nelle catacombe. Meglio, insomma, mille volte che sia bloccato, questo ascensore…

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