PERCHE’ LA VESPUCCI E’ DAVVERO L’ULTIMO SIMBOLO DELL’ITALIANO NAVIGATORE

La maestosa e storica Amerigo Vespucci salpa dal porto di Genova per intraprendere un viaggio intorno al mondo, salutata dalle Frecce Tricolori in un tripudio generale. Retorica a fiumi sui Tg nazionali. Ci hanno informati a puntino. Il più grande veliero e nave scuola al mondo (101 metri di lunghezza, stazza netta di 1.202 tonnellate, 26 vele, equipaggio al completo di 470 persone), utilizzato dalla Marina Militare per addestrare gli ufficiali dell’Accademia Navale di Livorno, navigherà per un paio di anni. Mostrerà a 28 paesi e 5 continenti un pezzo importante di Grande Bellezza, come fosse un Expo itinerante dell’Italia intera.

Una domanda che potrebbe sorgere spontanea è questa: perché è stato scelto Vespucci e non Colombo? In realtà erano due i velieri progettati nel 1930 per omaggiare i più grandi navigatori-esploratori nostrani. Il destino vuole però che la Colombo venga “regalata” all’URSS come risarcimento dei danni di guerra, alla fine del secondo conflitto mondiale. La Vespucci rimane quindi single e comincia in questo modo singolare il suo percorso di star degli oceani. L’appellativo di “più bella nave del mondo” le viene dato dalla portaerei statunitense Indipendence nel ’62, che così la chiama quando lei si fa riconoscere in mare col lampeggiatore. La descrizione calza perfettamente e le rimane appiccicata bene addosso fino ai nostri giorni.

L’effetto del megaveliero ci ricorda anche che noi siamo un popolo di “poeti, santi e navigatori”, per sintetizzare la celebre descrizione. Poeti e santi scarseggiano, navigatori se ne sono visti di più. Il nostro velista più famoso del periodo contemporaneo è Giovanni Soldini, che rinfresca le gesta del suo collega certamente più naif, l’Ambrogio Fogar degli anni ’70. E, nel campo nautico motoristico, ricordiamoci il record imbattuto del Destriero, monoscafo in alluminio pilotato da Cesare Fiorio, che nel ’92 attraversa l’Oceano Atlantico da New York all’Inghilterra in 58 ore e mezza, percorrendo 3.106 miglia con una media di 53 nodi.

A proposito del continente a stelle a strisce, noi italiani siamo stati decisamente i padri scopritori durante quei trenta-quaranta anni formidabili di fine ‘400 e inizio ‘500, in cui i più temerari esploratori si buttavano alla cieca verso Occidente alla ricerca di nuovi mondi. Colombo è il precursore di questi comandanti coraggiosi, al soldo delle grandi potenze che si affacciavano sull’Atlantico, Portogallo e Spagna in testa, seguiti da Francia e Inghilterra. Noi, già padroni del Mediterraneo per secoli con le quattro Repubbliche Marinare di Amalfi-Pisa-Genova-Venezia, purtroppo eravamo un po’ fuori rotta e anche fuori tempo per i viaggi oceanici verso l’ignoto. Ma non ci mancavano di certo i capitani che sognavano di realizzare i propri folli progetti. Dopo il celeberrimo genovese, che ha perlustrato tutti i Caraibi e toccato il Centro America senza accorgersi, sono arrivati sul continente sconosciuto quasi in contemporanea il veneziano Giovanni Caboto, che raggiunse le isole settentrionali del Canada per conto degli inglesi, e il fiorentino Amerigo Vespucci che, invece, piegò a Sud e raggiunse più volte le coste sudamericane.

Proprio Vespucci ha il grande merito, sia pur con qualche contestazione sulle sue non confermate quattro spedizioni, prima con gli spagnoli poi con i portoghesi, di aver capito che il Nuovo Mondo non erano né le Indie né l’Asia come tutti credevano.

Dalle descrizioni minuziose di Amerigo del nuovo continente, un cartografo tedesco dell’epoca usa per primo il termine femminile America, derivato dal nome latinizzato, tenendone così il battesimo ufficiale. Come ciliegina sulla torta, che suggella il nostro legame storico a doppio filo con gli americani, citiamo il toscano Giovanni da Verrazzano che, grazie al finanziamento dei francesi, nel 1524 entra per primo sia nella baia di New York che nei territori delle future colonie che creeranno successivamente gli Stati Uniti.

Peccato che di quella epopea eroica a noi italiani sia rimasta solo la fama, qualche statua (quelle di Colombo, tra l’altro, fortemente contestate e spesso abbattute), nomi di ponti, piazze e tutt’al più targhe commemorative o citazioni. Pensandoci bene, però, anche i conquistadores ispano-portoghesi che si sono impadroniti di mezzo mondo che cosa possono vantare oggi? Solo la lingua, distorta dal forte slang locale, niente di più.

Consoliamoci allora con l’impareggiabile Amerigo Vespucci, che ci ricorda il nostro glorioso passato e che impone la sua odierna supremazia per mari e oceani, facendosi ammirare dappertutto e sbaragliando senza dubbio ogni tipo di concorrenza. In bellezza e in poesia, almeno,

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