Lo spirito battagliero resta intatto dal lontano tempo degli esordi, ragazzino dall’Alessandria al Milan, quindi Gianni Rivera non si arrende. Nemmeno adesso, dopo due sconfitte consecutive, nemmeno adesso che ha compiuto da poco 80 anni e che le partite le gioca in tribunale, restandogli di allora – oltre alla tempra – la folta chioma ondosa, sia pure innevata. Rivera vuole soldi per una scultura e altri oggetti (sostiene perfino che alcuni siano falsi) esposti al Museo di San Siro e che a suo dire gli appartengono. Ha fatto causa, l’ha vinta (200.000 euro), ma l’Appello e la Cassazione hanno prima ribaltato il verdetto, poi confermato che il museo è a fini didattici, “quindi che vuoi?”.
“Bene, allora che l’ingresso sia gratuito!”, tuona il Golden boy, così soprannominato, primo italiano a vincere il Pallone d’oro nel 1969.
Oggi per entrare al museo gli adulti pagano 7 euro, a parte gli under 14 e gli over 65. “Altrimenti mi devono essere riconosciuti i diritti”.
Andrà alla Corte di Giustizia europea. E’ come una volta, quando si ergeva lui a paladino della giustizia, facendo guerra al sistema, agli arbitri, alla Juventus despota, persino al presidente del Milan che voleva venderlo al Torino: fu l’unico caso che si ricordi al mondo di un giocatore – sostenuto dall’impeto popolare e dal mio… – capace di costringere un presidente (Albino Buticchi) ad andarsene.
Da qualsiasi lato la si legga, da ogni prospettiva la si osservi, la vicenda stende uno sgualcito tappeto di tristezza. Gianni Rivera è stato una delle stelle più luminose nella storia del calcio italiano e del Milan, a lui sono legate immagini fulgide come l’epico gol del 4-3 alla Germania e gli assist a Prati nella finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax. Oggi si rivolta come un bisbetico ferito, oggi prosegue quella sua esistenza che fuori dai campi di calcio è stata tutta una salita senza la stessa gloria, dalle assicurazioni all’imprenditoria, dalla concessionaria di auto alla politica.
Questa storia della battaglia legale al museo rossonero, quindi al suo antico amato club, è la più eclatante, ma risulta in effetti solo l’ultimo di una lunga serie di ruggiti reclamando diritti sulle fotografie, sull’immagine, sugli scritti, sulle citazioni, sulle presenze in club di tifosi o in altre manifestazioni cui è invitato. Con l’amata Laura Marconi nel doppio ruolo di moglie e inflessibile manager.
Ecco il motivo per cui non ha pensato neanche per un attimo che sarebbe stato suggestivo, elegante, romantico, chiedere al Milan che quei soldi (se davvero gli venissero riconosciuti) fossero destinati ad attività pubbliche, sociali, solidali. Non è questo l’abituale modus operandi.
Certo, il club è uno stemma, una bandiera e la sua storia. Il resto sono solo uomini, che qualche volta tornano bambini con il passare degli anni. Bambini capricciosi, che chiedono a Malagò e Costacurta, commissari della FIGC nei primi mesi del 2018, di diventare CT della Nazionale pur avendo 75 anni e non avendone mai trascorso neanche mezzo in panchina ad allenare chicchessia.
Il pallone è mio e decido io, come accadeva all’oratorio, o sui campetti di periferia. Chi portava la palla sceglieva per primo i compagni di squadra, la durata della partita, le regole, ma soprattutto imponeva di essere sempre in campo, lui che spesso era del tutto incapace e però – appunto – era il padrone dell’attrezzo.
Mesto e inadeguato, mi sento un po’ blasfemo nello scuotere la testa scrivendo oggi del mio piccolo dio: Rivera per me è stato il calcio, l’essenza, l’inarrivabile. Per lui ho scelto il Milan quando, bambino, lo sognavo insieme con Mazzola perché tutti parlavano di loro, i giornali esaltavano loro, chiunque celebrava le prodezze dei capitani di Inter e Milan, ma in televisione di calcio se ne vedeva davvero poco. Io volevo solo andare a San Siro per vedere da vicino, dal vivo Rivera o Mazzola, nient’altro. Mio cugino Antonio mi portò a una notturna del Milan. Fu come andare a un concerto di Morricone: fenomenale l’orchestra, strepitosa la cantante, splendido il teatro, ma il centro del mondo era lui, Ennio. Come Gianni. Lui era la musica, lui era il calcio. Oggi è un’altra cosa, oggi è un’altra musica.
Serafini… Rivera è Rivera: quel che fa, va bene. Vergognati!
Che tristezza! Dispiace pensare che abbia ricevuto tutti o talenti nei piedi! Come uomo non ha dato mai grande prova di sè. Pensare che ho dato a mia sorella, come secondo, il nome Gianna!
Quando Rivera si è ritirato il Milan lo ha sempre ignorato, mai un riconoscimento, un incarico di prestigio. I vari Presidenti si sono solo riempiti la bocca e sfruttato il suo nome per esaltare i successi del Milan e di Rocco. Rivera è stato per il Milan quello che Pelè è stato per il Brasile.
Rivera é un genio del pallone e resterà un super campione. Il resto non ci interessa. Tra l’altro nella disputa in questione, secondo me, ha tutte le ragioni del mondo!
La sua fede politica…gli ha fatto odiare il Milan…..grazie x il campo di calcio…ma è caduto in basso.
Che cosa ha fatto il MILAN per Lui? Andava bene quando faceva impazzire le folle. Ora chiede ciò che gli altri sfruttano. Possibile che non vi vergognate?
Sono sempre e sempre sarò un suo grandissimo estimatore ma non mi sarei mai aspettato questa caduta di stile. Si dice che i campioni passano il Milan resta. È vero sarò sempre Milanista ma con un magone
nel cuore.
Rivera da vicepresidente Milan ha fatto danni epocali e parlano i numeri dal 79 alla ha collezionato 2 retrocessioni e un quasi fallimento salvato dall’arrivo del Berlusca basta o devo continuare?
A perfettamente ragione lui è stato il Milan lui ha dato tutto per il Milan . Il Milan a lui non ha dato niente. C’è solo un Capitano C’è solo un Capitano❤️🖤
GIANNI non si discute MAI… ai suoi tempi era L’UNICO a ribellarsi al sistema calcio pagandone di persona le conseguenze… non era un robottino ma uno con le PALLE… caro giornalista davanti a LUI stai muto e sciacquati la bocca
Rivera ha ragione. Quindi …vergognatevi specialmente voi giornalisti che siete solo parolai.
Gianni Rivera è stato una stella del Calcio italiano e, a volte, i suoi comprensibili eccessi vanno giustificati, soprattutto quando non c’è riconoscenza da parte di chi dimentica il suo percorso calcistico passato, la sua classe, la sua correttezza in campo… Ciao Gianni da un fu tifoso milanista, Paolo (costiera amalfitana)…
Non vi domandate perché i Baresi o i Zanetti sono rimasti nelle società dove hanno giocato e Rivera no? Evidentemente perché essere campioni in campo non vuol dire esserlo automaticamente nella vita. Rivera, ringrazia Iddio che c’è chi ti celebra e ti ricorda e non rovinare la tua immagine, come un Maradona qualsiasi.