PERCHE’ IL CALCIO GAY RESTA INCONFESSABILE

J.J. non è un pittore, anche se è così che firma i quadri che dipinge per hobby. In uno, qualche anno fa, ha ritratto insieme due giocatori dell’Atalanta, Gomez e Petagna. Lui infatti, J.J., è un calciatore ceco: Jakub Jankto è stato in Italia all’Ascoli, all’Udinese e alla Sampdoria, ora è a casa sua allo Sparta Praga. Buon centrocampista tecnico e duttile, non ha mantenuto del tutto le promesse giovanili: a pallone è bravo, ma in molti pensavamo sarebbe diventato più forte.

Si è conquistato la ribalta internazionale, comunque, in questi giorni. Non per un gol o un assist o un’impresa sul campo, ma perché ha fatto coming out con un video social: “Come tutti gli altri – ha detto – voglio anche io vivere la mia vita in libertà. Senza paure. Senza pregiudizio. Senza violenza. Ma con amore. Sono gay e non voglio più nascondermi”. Lo ha seguito l’ex compagna Markéta: “Sono orgogliosa che sia stato in grado di raccogliere le forze per uscire pubblicamente. Tutti gli altri lo tengono segreto. Hanno paura di quello che dice la gente”. Si sono riversati su media e social centinaia di messaggi di solidarietà, apprezzamento, ammirazione.

Tutto ciò, lo ammetto, mi sorprende. Mi destabilizza, quasi. Non so se da romantico o visionario, da distratto cittadino del mondo che credevo essere più evoluto, ero assolutamente convinto che non fosse più necessario fare coming out. Gli affari di cuore, sentimento, sesso, restano propri, restano affari loro. In primis. Quindi mi incuriosisce la motivazione per cui qualcuno come Jankto “esca allo scoperto” e venga per questo applaudito.

Per capirla, mi è bastato sedermi per scrivere questo articolo. Mi sono sgorgate fuori risposte una dietro l’altra. Prendete lo sport di Jankto, per esempio: il calcio. Un pianeta di machi, un omertoso universo di mascolina virilità dove in effetti sembra non esistano omosessuali. Cosa determina la paura di dichiararsi? Lo scherno allo stadio, la ghettizzazione nello spogliatoio, la vita quotidiana? Tutto, credo. Tutto questo.

L’evoluzione è assai lontana dal divenire, evidentemente. A memoria, in Inghilterra accadde per primo a Fashanu di fare coming out: era l’ex attaccante di Norwich e Wimbledon (tra le altre), divenuto famosissimo in Italia grazie alle parodie di Teo Teocoli a “Quelli che il calcio”, per l’unico semplicissimo fatto che il suo cognome, Fashanu, divertiva il comico. Il quale andò persino a realizzare delle gag con lui sui campi di allenamento inglese.

“Fasci”, come lo chiamava scherzosamente Teocoli, si impiccò in un garage nel 1998, all’età di 35 anni, dopo essere stato accusato di stupro da un ragazzo che aveva trascorso una notte con lui. Fashanu lasciò un biglietto in cui scrisse: “Mai e poi mai ho stuprato quel giovane. Abbiamo avuto un rapporto consensuale, dopo di che lui la mattina dopo mi chiese del denaro che non gli diedi. ‘Aspetta e vedrai’, mi disse, e se ne andò. Spero che il Gesù che amo mi accolga: infine, troverò la pace”.

I casi di calciatori che hanno dichiarato la loro omosessualità sono pochissimi: il centrocampista dell’Adelaide United Josh Cavallo, il 17enne l’inglese Jake Daniels del Blackpool, l’australiano Andy Brennan, l’americano Collin Martin. Altri hanno aspettato di chiudere la loro carriera agonistica prima di uscire allo scoperto, come il tedesco Thomas Hitzlsperger, ex centrocampista anche della Lazio e oggi direttore sportivo dello Stoccarda: spiegò di aver rimandato il coming out per la paura della reazione dei compagni.

Sono invece un po’ più numerose le calciatrici che si “espongono”, in attività o da ex.

Eccolo qui, il verbo famigerato in forma riflessiva: esporsi. Ci si espone a un pericolo, ci si dichiara al pubblico dileggio, o ludibrio, o disprezzo. Raccontando al prossimo quei famosi fatti propri… Suscitando solidarietà e consenso. Ma perché? Perché è considerato ancora un atto di coraggio, una rottura degli schemi. Una confessione. E io che da cattolico pensavo si confessassero i peccati.

Appunto: consideriamo i gay dei peccatori incalliti sempre e comunque peggio, molto peggio di noi e la religione non conta niente. Niente di niente. Contano in primo luogo pregiudizi e intolleranza, nei confronti di malsane deviazioni che siamo convinti non ci appartengano e non ci debbano appartenere. Ci sono ancora padri che ripudiano i figli, per questo.

Dunque, mi alzo e me ne vado dalla tastiera deluso e sconfitto. Fare coming out è ancora, eccome, un atto di coraggio. Perché il mondo, questo mondo di razzisti, omofobi, ladri, criminali, truffatori, doppiogiochisti, guerrafondai, maneggioni, faccendieri, pretuncoli, corrotti, non è pronto ai gay, alle lesbiche. All’omosessualità. Non è ancora pronto e non è dato sapere se lo sarà un giorno, lasciandoci nella convinzione che – al contrario – non cambierà mai. E mentre i gay occulti resteranno ambite prede da perseguire con violenza, i gay dichiarati si ergeranno a eroi. Gira così, l’umanità.

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