LA GRANDE BELLEZZA DEI NOSTRI FORMAGGI (CHE I FRANCESI NON DIGERISCONO)

“Come volete governare un paese ove ci sono 246 varietà di formaggio?”, chiese testualmente ai suoi tempi De Gaulle, riferendosi ovviamente a noi italiani, affermando tra le righe anche la superiorità francese nel settore. I nostri cosiddetti cugini sono fatti così: o esplicitamente o indirettamente devono sempre esibire la loro grandeur, se ci sono di mezzo gli italiani figuriamoci. A parte che il Belpaese è arrivato al numero record di 487 formaggi, superandoli ormai di gran lunga, senza neppure sbandierarlo troppo. Anche in quelli DOP siamo davanti, subito per placare la tipica boria transalpina nel voler primeggiare nella qualità top. Quindi, caro Charles, per riprendere la tua provocazione, noi cittadini italiani l’abbiamo capita da mo’ la (quasi) impossibilità di avere governi stabili, non c’è bisogno di fare dichiarazioni così roboanti, tanto meno scomodando i formaggi.

Nel caseario assistiamo a dei veri duelli rusticani tra eccellenze senza eguali: parmigiano reggiano o grana padano, provola o mozzarella di bufala – tanto per dirne qualcuna -, disfide culinarie che fanno andare in soffitta sdruciti dilemmi come il nordico “panettone o pandoro”. C’è solo l’imbarazzo della scelta e le classifiche ci premiamo, i concorrenti ci copiano e la UE cerca di ridimensionarci in ogni modo.

A proposito di primati, basta consultare l’Atlante mondiale della cucina tradizionale (TasteAtlas) che stila la classifica dei migliori formaggi al mondo: è un trionfo di Mameli, otto formaggi nelle prime dieci posizioni sono italiani, le prime quattro senza interruzioni. Sembra di essere tornati ai tempi della valanga azzurra di Cotelli.

Il quinto posto è occupato da un formaggio messicano e l’ottavo da uno portoghese. La nostra formazione vincente è, partendo dall’alto e leggendola alla Martellini: parmigiano reggiano, gorgonzola piccante, burrata, grana padano, stracchino di crescenza, mozzarella di bufala campana, pecorino sardo, pecorino toscano. Per trovare il primo francese scendiamo al tredicesimo posto, una sonora bocciatura.

Non erano loro quelli del Camembert, del Brie e del “ce l’abbiamo solo noi così”? Immediata la prima reazione stizzita nel profilo Twitter del Comitato per il collegamento ferroviario transalpino Lione-Torino “Amici italiani, facciamo di tutto per avvicinare i due paesi con i trasporti, ma ci sono aree in cui non bisogna andare lontano”, seguito subito dopo da un altro post, “beh, nessuno sarà d’accordo e questa classifica è in effetti un po’ dubbia. Quel che è certo è che Francia e Italia si scambiano quasi 150 mila tonnellate all’anno di (ottimi) formaggi”. Ironici e dubbiosi, ma di certo irritatissimi, si capisce lontano un miglio. Ed è solo l’inizio. Poi arriveranno le associazioni, i giornali, i Vip e non mancherà certo Macron che telefonerà subito a Schulz per proporre una joint venture franco-tedesca nei latticini con effetto immediato. Un emmenthal spalmabile?

Dovete accettarlo, cugini molto snob, spesso siamo più bravi noi. Difficile da mandar giù, ma sta succedendo anche nel vino (almeno quantitativamente vi battiamo di sovente) e nella moda prêt-à-porter per dirla con la vostra lingua. Nelle auto vi siete messi con noi per contare di più, così nel design, nella Grande Bellezza, anche nello sport. Nel cibo non c’è quasi più storia, queste classifiche sono lì a confermarlo.

Ma voi potete cullarvi nei vostri ricordi e ignorare la realtà. A noi piace molto ascoltare il grande  chansonnier – parlo così perché capiate bene – Paolo Conte, uno molto amato da voi peraltro, che in “Bartali”, una delle sue memorabili poesie cantate, dice: “Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita, e i francesi ci rispettano, che le balle ancora gli girano… tra i francesi che si incazzano, e i giornali che svolazzano …”.

Tour de France 1948, sembra oggi, la storia continua. Se avete bisogno di qualche dritta per fare buoni formaggi, noi siamo qui.

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