PERCHE’ ABOLIRE I VOTI FUNZIONA SOLO NELLE SCUOLE DEI RICCHI

Da qualche parte bisogna pur cominciare: così postula Gramellini, al termine di una puntata del suo “Caffè”, a proposito dell’esperimento messo in atto dal liceo “Morgagni” di Roma, che, da sette anni, ha una classe, poi divenuta un’intera sezione, in cui non ci sono misurazioni. Insomma, interrogazioni e verifiche non finiscono con un voto. E il celebre opinionista ci fa capire che, secondo lui, questa è la retta via. Pare, leggendo Gramellini, che non solo i giovani liceali escano dal proprio quinquennio felici e contenti, inebriati dalla curiosità del sapere, ma che, per soprammercato, frequentino poi con successo le più prestigiose università del mondo. Il che non esito a credere.

Però, visto che da qualche parte bisogna cominciare, direi di cominciare da un elementare dato, diciamo così, sociologico. E il dato ci dice che gli studenti estroiettati dalle scuole, diciamo così, per benestanti, sia che li massacrino di quattro, sia che li valutino ad abbracci e strette di mano, alla fine se la cavano e, quando capita, brillano anche nelle più prestigiose università eccetera eccetera. Perché il vero punto di partenza non è il gramelliniano eliminare l’apparato giudicante della scuola, peraltro nato da velleità moderniste e non da esigenze televisive, sibbene colmare il divario, sempre più marcato, tra scuole da ricchi e scuole da poveri.

Don Milani, che pare essere tra gli ispiratori del nostro caffettiere, tra i molti suoi equivoci, scriveva che il voto è una discriminazione. Errore: la discriminazione è impedire ad alcuni di accedere agli stessi saperi degli altri. La discriminazione, in definitiva, è sostanziale, non formale: se io abolisco i voti in un liceo in cui gli studenti fanno le vacanze studio all’estero, hanno accesso a strumenti di apprendimento sofisticati e provengono da famiglie mediamente scolarizzate, non peggiorerò certamente il curriculum degli alunni e, in più, eviterò loro, poveri santi, lo stress della competizione. Però, se li abolisco in un professionale da combattimento, dove metà degli studenti è composta da stranieri, dove i BES sono la maggioranza, dove gira ogni sorta di disagio, voglio proprio vedere come va a finire.

Mi risulta difficile pensare che Ahmed, pluriripetente dallo spinello facile, dopo l’abolizione del maledetto voto, decolli dalla sua periferia fatiscente, per laurearsi brillantemente a Oxford o alla Jagellonica. Non nomino volontariamente gli atenei che, con ogni probabilità, ha in mente Gramellini quando parla di prestigiose università, perché quelle sono Almae Matres da centinaia di migliaia di dollari all’anno e, per Ahmed, sarebbero fuori portata da un punto di vista censuario, prima che educativo.

Insomma, caro Gramellini, magari nel paradiso in cui vive lei, questa faccenda dell’abolire i voti potrà pure essere un punto di partenza per migliorare la scuola: nel resto del mondo, però, le cose vanno un po’ diversamente. E, per punto di partenza della scuola, mi accontenterei che ci fosse una scuola degna di questo nome, in tutta Italia e in ogni quartiere, dal Gianicolo alle periferie estreme. E, ovviamente, d’estate, finita la scuola, tutti a Capalbio.

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