PELE’ GIOCA IN CIELO, E’ FINITO IL MIO CARNEVALE

E’ morto il calcio. Pelé non c’è più e si porta via il pallone, quel meraviglioso mondo che seppe vivere e regalarci come nessun altro mai. Nessun Maradona, nessun Messi, nessun Di Stefano. Prima di lui il nulla, dopo di lui il diluvio di mille coriandioli, ma Edson Arantes do Nascimento è stato il carnevale di tutti, una fetta grande e grandiosa di un tempo che sembra lontanissimo osservando le marionette contemporanee.

Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscerlo e di seguirlo quando la sua carriera in campo si era appena conclusa e si era avviata quell’altra illuminata da parole e presenze e sorrisi e promesse. Conservo un quadrifoglio celato dentro un quadratino di plastica trasparente “Do amigo Pelé”, ci sta scritto, e fu, il giorno del suo dono, come aver vinto un mondiale.

Lui tre ne conquistò, partendo da quel meraviglioso titolo in Svezia, aveva diciassette anni e l’universo scoprì quel ragazzino con i capelli a spazzola destinato alla leggenda.

Pelé ha fatto conoscere il Brasile, Pelé ha portato il football in America, Pelé ha ispirato film, canzoni, libri, poesie, non fu un combattente ideologico, non si offrì alla speculazione di personaggi della politica e della propaganda, astutamente fu uomo di tutti, democratico e potente, di tempra e di sentimento.

Giocava di destro e di sinistro, di testa e di dribbling, aveva cosce ipertrofiche sulle quali poggiava un busto possente e sinuoso assieme, gol mille, al di là dei numeri ufficiali, in un’epoca nella quale il suo colore della pelle non lo favoriva certamente, ma i prati di tutto il mondo ne comprendevano lo stile, la classe, uniche, irripetibili. Un fotogramma del mondiale messicano, era il ‘70, vale per tutto: Tarcisio Burgnich cerca di salire nell’aria dell’Azteca, Pelé sale due piani più in alto e segna di testa, lui che certo non è un perticone.

La malattia prese a segnarlo proprio nelle gambe dorate, lo sguardo restò lucido, il sorriso, ferito dalla sofferenza, fino alla fine è stato il suo messaggio. Non è stato un calciatore, Pelé è stato il calcio, i ragazzi di oggi non possono capire, le narrazioni riguardano altre figurine. Pelé è stato di tutti. Se ne è andato prima che si concludesse quest’anno pieno di amarezze e, assieme, di trionfi calcistici. Il mondo intero lo celebra, presumo che in Argentina qualcuno accenderà una candela. Però di nascosto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *