Inoltre, anche la ricerca dell’oggetto di consumo, proprio delle società capitalistiche, conduce spesso ad un godimento solitario che soddisfa solo l’autocompiacimento narcisistico, piuttosto che valorizzare l’importanza delle relazioni.
Poi, non esiste solo la solitudine dei giovani, ma ancor più importante è quella degli anziani e, in generale, dei “fragili”.
Tuttavia, se la solitudine può certo essere considerata un indice di una potenziale sofferenza psichica, è pur vero che si tratta di una condizione esistenziale indispensabile. Addirittura utile, sin dalla prima infanzia, quando il bambino, attraverso la momentanea separazione dai genitori, inizia a produrre rappresentazioni mentali che gli consentiranno di accedere al mondo simbolico. Essere soli è quindi necessario per acquisire consapevolezza: di sé, dei propri desideri e delle proprie aspirazioni.
Il senso della vita non è solo nell’esteriorità e in ciò che facciamo: forse è ancora più importante l’interiorità, il dialogo con noi stessi e la ricerca di senso che produce. E allora la solitudine non è più una malattia, ma uno stato esistenziale necessario al raccoglimento e all’introspezione. Magari anche alla meditazione e alla contemplazione, secondo quanto caldamente consigliavano gli antichi. Già Proust ci ricordava come lo star da soli sia il modo migliore per poter comunicare con gli altri, e come alcune delle attività creative più ricche dell’uomo richiedano l’appartarsi per pensare e concentrarsi.
Allora, trovare il giusto equilibrio tra solitudine e isolamento è il mio migliore augurio per l’anno prossimo. E anche per tutti quelli a venire.