OVVIAMENTE NIENTE DA DIRE SULLA MUTANDA DELLA LEOTTA

Non voglio dire, però lo scrivo: Diletta Leotta scienziata delle mutande. Questo il titolo del carosello pubblicitario che vede l’illustre come docente dell’articolo maschile, non “il” ma “la” mutanda, ovviamente indossata da un giovane aitante, di muscoli e di volto, il quale salta, balla, la musica è quella del “Pullover” che fu di Gianni Meccia (“ha il calore che tu davi a me e mi illudo di stare in braccio a te, il pullover accarezzo se verso sera ho nostalgia di te…”), ma è stata rivista e corretta con la Mutanda a fare le veci del golf e non so se verso sera la stessa venga accarezzata dal fusto mentre la scienziata Diletta, che ha pure il camice bianco d’ordinanza, ammicca, ha lo sguardo birichino e controlla al computer le prestazioni di “quel tira e molla stanno sempre su..”.

Roba buona, di gusto raffinato, che non trova reazione alcuna tra le donne che strepitano sull’uso che gli uomini di loro fanno. Ci sono casi in cui farfalline, trespoli e mutande hanno il loro perché, fanno cassa e mettono da parte qualunque considerazione di bacchettoni e simili.

Con questo che cosa voglio dire? Niente, ma mi diverto assai a vedere, sentire, leggere le testimonianze e le accuse e i dibattiti che in queste ore si stanno occupando del caso della Greta italiana e di quel principe dei pirla che, in corsa codarda e freddolosa, le ha toccato il sedere. Va capito perché tra pullover e mutanda non c’è poi tanta differenza: “Sai mia cara sono tanto solo nell’inverno col suo gelo, mi rimane quest’ultimo tuo dono, un ultimo abbraccio d’amor”.

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