La spirale inflattiva legata all’aumento dei prezzi dei generi alimentari sembra non avere fine.
Non giungono notizie confortanti dai mercati sia dell’ortofrutta che degli altri beni di consumo.
È emblematico l’esempio dell’olio di oliva, vittima di una concomitanza di fattori che hanno come denominatore comune la riduzione delle produzioni, imputabile alle condizioni meteo estreme che sono state registrate nel corso degli ultimi mesi.
Nelle ultime settimane, l’olio d’oliva ha raggiunto prezzi mai visti in precedenza, suscitando molte preoccupazioni tra i consumatori.
La parabola ascendente dei prezzi sembra inarrestabile, soprattutto per tre ordini di motivi, che stanno provocando una sorta di tempesta perfetta nel settore.
In primis le piogge straordinarie, ma estemporanee, che accompagnate poi alla siccità hanno decurtato la produzione spagnola di olio di oliva, nella campagna 2022-2023, di oltre il 50% rispetto alla precedente annata. Il governo spagnolo ha dichiarato che la produzione del 2023 è stata di sole 660.000 tonnellate, rispetto alle 1,48 milioni di tonnellate nel 2022.
La Turchia, il secondo più grande produttore mondiale di olio d’oliva, ha introdotto una stretta all’export dell’olio fino a novembre, con l’obiettivo dichiarato di contenere l’ascesa dei prezzi nel mercato domestico, che ha già visto raddoppiare i prezzi. Questo provvedimento ha ulteriormente ridotto l’approvvigionamento globale, contribuendo all’attuale carenza.
Ma la notizia che ci riguarda da vicino e che desta più di una preoccupazione riguarda la comunicazione dell’ICQRF del Ministero dell’Agricoltura che riporta una riduzione delle giacenze di olio extra vergine di oliva che, nel nostro paese, si sono ridotte a soli 52.000 tonnellate. Con un trend di consumo pari a 15.000 tonnellate al mese, le scorte potrebbero esaurirsi già a settembre.
Le recenti rilevazioni dei prezzi franco azienda condotte da Ismea hanno mostrato prezzi elevati in diverse regioni italiane, con punte di 13,63 euro al litro a Firenze e 13,50 euro a Verona.
Non sono buone notizie per le nostre tasche.
L’agricoltura, più di ogni altro settore, subisce gli effetti di eventi meteo estremi che riducono le produzioni e di conseguenza fanno rialzare i prezzi. E per tutelare i mercati interni si diffonde il ricorso a misure protezionistiche che ostacolano il libero commercio a danno, prima di tutto, dei Paesi più dipendenti dalle importazioni.
Ma come cercare di porre rimedio a questo stato dell’arte?
Di certo modificando le politiche comunitarie in tema di agricoltura.
Un anno fa, negli Stati Uniti, il presidente Biden ha firmato il Piano per la riduzione dell’inflazione, con il quale sono stati assegnati circa 20 miliardi di dollari per migliorare l’efficienza energetica dell’agricoltura.
A Bruxelles, invece, nella proposta di revisione del bilancio pluriennale della Ue fino al 2027, la Commissione non ha inserito un aumento delle risorse finanziarie all’agricoltura.
Una scelta illogica.
Così come appare incomprensibile il disinteresse del nostro governo verso questi temi, premesso che la precedente denominazione di “Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali” è stata modificata in: “Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste”.
Ci sembra che quanto stia accadendo sia l’esatto opposto del tema della sovranità alimentare.
Dipendere anche per l’olio d’oliva dalle decisioni di Erdogan ci sembra francamente un po’ troppo.