di TONY DAMASCELLI – Obama Barack è premio Nobel per la Pace. Ogni tanto se ne dimentica e va in guerra. O meglio, si diverte con le pistole ad acqua e i mortaretti. Ha avuto il tempo per scrivere una classica autobiografia e tra le mille cose ha voluto dedicare pensieri e parole ad alcuni suoi sodali, trattandoli come pezze da piede, tipo Sarkozy un “gallo nano”, con i suoi tratti scuri, vagamente mediterranei (era mezzo ungherese e per un quarto ebreo greco) e la sua bassa statura (un metro e 66, ma portava rialzi nascosti nelle scarpe per sembrare più alto), sembrava uscito da un quadro di Toulouse Lautrec. O il russo Putin, un duro da strada. E il turco Erdogan, un boss locale.
Ora, se tali considerazioni raffinate ed eleganti fossero state rilasciate da un sovranista, fascioleghista, un volgare Trump qualsiasi, avremmo la sollevazione di fogli e talk show radiotelevisivi, interventi sul razzista che se la prende con i diversamente alti, una denuncia all’Onu, la richiesta di una censura da parte del papa, sempre pronto all’uso.
Invece si registrano sorrisi vari, applausi e riverenze. Obama Barack o Barack Obama, è lo stesso, può permettersi la qualunque, offende, insulta, deride ma resta l’idolo di sempre, al di là dei sette Paesi bombardati dagli americani durante la sua presidenza.
Il titolo dell’autobiografia è “Una terra promessa”. Fa venire in mente una canzone di Ramazzotti Eros o Eros Ramazzotti, è lo stesso. Il disco risale al 1984. Mister Obama, non faccia troppo il furbo.