NON SI SONO SCIOLTI MAI

di MARIO SCHIANI – Cinquant’anni fa, il 10 aprile 1970, si scioglievano ufficialmente i Beatles: c’è da stupirsi se, da allora, tutto è andato pressoché a rotoli?

Lo so: là fuori ci sono quelli che “a me Vasco mi ha cambiato la vita”, e quelli che “la voce di Mina ce la invidiano in tutto il mondo” e anche quelli che  “le canzoni  di Mogol e Battisti sono il massimo”. Tutto vero, tutto giusto, ma oggi fatevi da parte: passano i Beatles.

L’invito è semplice: “mettete su” un disco – anzi, un “ellepì” –  a piacimento, meglio ancora se scelto tra le primissime raccolte di canzoni assemblate più o meno a casaccio e non costruite, come nel caso degli ultimi lavori, con maggiori velleità di unità e stile, e ascoltate.

Perché quei brani sono ancora freschi come erano il primo giorno, ancora piacevoli, ancora frizzanti, ricchi di quel gusto un po’ fanciullesco e ridanciano – perfino quando vorrebbero essere serie e romantiche – che contraddistingue la produzione dei Quattro? Perché quel miracolo ancora si ripete a dispetto di tutto quel che in fatto di mode musicali – da Howard Jones a Lady Gaga – abbiamo passato?

Lo so: là fuori ci sono quelli che “io ascolto solo il Nu metal norvegese” e i cori russi e il free jazz punk inglese. Liberi di impegnarsi le orecchie come vogliono, anche allo scopo di esibire conoscenze che, più specifico diventa il genere prediletto, più si fanno maniacali e astratte. Provino  però a farsi una passeggiata (lockdown permettendo) per “Penny lane” o due passi negli “Strawberry fields”: non c’è forse ancora qualcosa di speciale, di diverso e unico, in quelle note diventate, una a una, familiari come facce amiche?

Lo so: ci sono quelli che “io preferivo i Rolling Stones” perché erano più cattivi e maleducati e loro sì che gliela mettevano in quel posto al sistema. Vero, gli Stones erano così come avete detto e hanno cantato cose bellissime e al sistema gli hanno fatto un paiolo così. Ma con tutta la loro ruvida grandezza, ancora non erano i Beatles.

Forse, nei Quattro si è raggiunto, nel breve arco della loro ascesa e dissoluzione, un incomparabile equilibrio: quattro individualità fuse in una squadra, senza che nulla andasse perduto e, anzi, con qualcos’altro che ne usciva moltiplicato. In fondo, presi uno a uno, i Beatles non erano affatto perfetti: Paul troppo melenso, John troppo caustico e indisciplinato (e poi, si sa, “rovinato da Yoko Ono”), George troppo intermittente e Ringo… beh, troppo Ringo. Insieme però funzionavano, eccome. Tanto è vero che funzionano ancora.

Visto che siamo tutti tappati in casa, proviamo a guardarci intorno e a trovare qualcosa che, dopo cinque decenni, funzioni altrettanto bene. I maschi incomincino con l’escludere la prostata. Sullo scaffale, troveremo classici della letteratura anche più vecchi e perfettamente funzionanti. Tra i dischi, monumenti della classica che possiamo dare per immortali. Ma tra la musica pop e rock, il risultato sarà diverso.

Troveremo tanti dischi che ancora oggi val la pena ascoltare: tutti però segnati dalla loro epoca. Nel caso dei Beatles, c’è qualcosa che sfugge al tempo: mai musica è stata più testimone della sua stagione, e tuttavia è riuscita altrettanto bene a svincolarsi dalla trappola del vintage. Perché? Non lo sappiamo e non lo sapremo neanche tra altri cinquant’anni. Ma, biologia permettendo, ancora ascolteremo i Beatles.

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