Del giorno 4 e di quelli a venire ho avuto il terrore da quando hanno cominciato a straparlare della Fase 2. “Con tutta la prudenza del caso”, “Ma non sarà un liberi tutti”, “Solo alcune filiere”, e poi quei deliri sgrammaticati sul senso di congiunti, emergenze, necessità: ebbene, non mi fido. Ho più paura di prima.
Per quanto giornali e telegiornali abbiano poi cercato di chiarire, spiegare, approfondire che i recinti non sono esattamente riaperti, hanno comunque trascorso il weekend aprendo o titolando enfaticamente: “L’Italia riparte”. Ma è dove va che mi spaventa.
Nella grande piazza di Milano dove vivo, circondata da grandi e trafficate arterie, in tutta onestà per due mesi ho visto o sentito passare un’auto ogni 10 ambulanze. Era il deserto. Vicino al mio quartiere sorgono due grandi ospedali, l’angoscia di quelle sirene ha costantemente frustato le mie giornate e molte notti.
Stamattina è tornato ad essere lunedì, un lunedì milanese con traffico, clacson, negozi aperti. “Fate i bravi”, ci hanno ripetuto per settimane e settimane vuote, se non riempite da qualche angoscia. Abbiamo avuto paura, ma io mai come oggi. Autocertifico che me ne sto a casa fino al 18. Poi vedremo. “Poi vedremo” è stato per settimane l’altro invadente monito di questi mesi dopo quel “siate prudenti”.
Vivo in questo Paese sgangherato, non posso fare altrimenti che stare a guardare se, per una volta almeno, la gente avrà capito da sola cosa fare, perché le spiegazioni non sono state sufficienti. Mai. Resto ottimista, ma ho paura.