NOMINE&CONCORSI TRUCCATI: MA VA?

L’Italia è, tra le altre cose, anche il Paese in cui, quando qualcuno detiene una qualche forma di potere, viene omaggiato, senza essere rispettato: anzi, per solito, gli si attribuiscono dietro le spalle nefandezze d’ogni genere, guardandosi bene, però, dal proclamare le proprie accuse alla luce del sole. Insomma, siamo un popolo di sospettosi, ma non di eroi.

Chiunque di noi abbia affrontato, ad esempio, un concorso pubblico, conserva, dentro di sé, l’intima convinzione che le cose, in quelle circostanze, non vadano mai in maniera limpida e cristallina: una vocetta insinuante che ti sussurra sospetti e dubbi. Una vocetta che, purtroppo, molto spesso ha ragione.

A me è capitato al concorso per la cattedra ordinaria: sono uscito dalla prova scritta per primo e un serafico signore, che veniva da Messina ad accompagnare la figlia, mi ha chiesto se avessi fatto il tema sul Pascoli latino. Lì per lì, gli ho risposto di no e non ci ho fatto più caso. Poi, però, ripensandoci, mi sono domandato: come diavolo faceva a sapere che c’era un tema su Pascoli, se sono stato il primo a uscire?

Ecco, credo che in tanti abbiamo avuto questa sensazione di imbroglio e che in tanti ci siamo sentiti imbrogliati, pur senza averne le prove né l’energia per cercarle seriamente.

Invece, si dovrebbe: tutti quelli che si siano sentiti turlupinati, che abbiano visto preporre loro qualche candidato evidentemente contiguo all’ambiente degli esaminatori, avrebbero dovuto andare più a fondo nella vicenda: non aspettare che, una tantum, la magistratura intervenga a colpire i casi più eclatanti.

Eclatante è certo il caso del prof. Galli e degli altri venti e passa docenti indagati per aver pilotato un concorso: ora, io non ho la più pallida idea circa la colpevolezza o l’innocenza di costoro e devo dire che nemmeno m’importa particolarmente. Ciò che m’importa è che, da qualche parte, qualcuno, sicuramente, avrà esclamato: era ora che li beccassero! Dando corpo a quello che mi pare, appunto, essere un idem sentire: i nostri concorsi sono abilmente taroccati da personaggi influenti che, viceversa, ne dovrebbero essere i garanti irreprensibili. A sentire le testimonianze di tanti miei conoscenti, sembrerebbe che tutti i concorsi universitari o quasi siano sottoposti a una sorta di legge di prossimità: le cattedre vengono distribuite a tavolino, tra i docenti, che decidono a chi assegnarle con una specie di manuale Cencelli, favorendo, a turno, ora questo ora quel protegé. E questo da tempo immemorabile, non dal caso Galli.

E non si può nemmeno dire che questa inchiesta abbia scoperchiato un formicaio: il formicaio era lì, in bella vista, direi quasi esibito, da decenni.

Lo ripeto, mi auguro che Galli, che pure mi è piuttosto antipatico per l’evidente albagia che gli trasuda da ogni poro, venga scagionato da ogni accusa. Tuttavia, sono sicuro che il sistema, nel suo complesso, sia colpevole: un sistema sempre al margine tra il lecito e l’illecito, fatto di favoritismi, gherminelle, dispettucci e piaceri tra luminari.

Un sistema che, in definitiva, è l’ennesimo tassello di un mosaico che raffigura un’Italia paralizzata dalla mancanza di meritocrazia (lo sa il cielo quante volte, tutti, ovunque, promettiamo il ritorno della meritocrazia) e da mille piccole corruzioni impercettibili. Che, tutte assieme, ci restituiscono l’immagine di una Nazione senza valori e piena di chiacchiere vane. Proprio come i discorsi di certi illustri professori.

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