MONDO ELKANN

Cresce il fermento nelle librerie e nelle redazioni dei giornali per l’ultimo scritto di Alain Elkann. L’opera, trattasi di articolo, è stata pubblicata da “Repubblica”, azienda il cui titolare è il figlio dello scrittore succitato.

Lo spunto, come ormai quasi tutti sanno, è stato suggerito da un viaggio in treno, Italo ça va sans dire, da Roma verso Foggia, e già qui la domanda sorgerebbe spontanea, ma lascio perdere la tratta e vado al tratteggio letterario di AE che viaggiando alla ricerca, come il Proust da lui medesimo esibito insieme con giornali di lingua inglese, si è imbattuto in un gruppetto di giovani viaggiatori, in prima classe cribbio, dediti ai rutti e addobbati in modo sguaiato poco in linea con il censo dello scompartimento.

Va da sé che il fastidio era univoco, i babies, infatti, se ne fottevano del passeggero, azzimato nel portamento e stazzonato nell’abito, con tanto di stilografica per redigere il diario, piuttosto discutevano su come e quando acciuffare qualche ragazza. Materiale che avrebbe fatto comodo a un Saviano d’origine, a Elkann no, egli non ha sfruttato la ciurma per farne un best seller, copiare non gli appartiene, lui ha l’esclusiva del dandismo universale.

Ma lo scritto ha provocato commenti, ironie, sarcasmi indirizzata all’araldica di famiglia, dunque giustificando certi Lapi o certe Margherite, essendo lui il padre di e il marito di. Del resto a Torino circolava, al tempo, una ferocissima frase del suocero dello scrittore viaggiante, l’avvocato Gianni: “Ma con tutti gli ebrei brillanti perché mai mia figlia ha scelto questo idiota?”, parole acide mai smentite, però nemmeno rese ufficiali.

Ovviamente la destra si è tuffata sulla vicenda, sghignazzando come sa, la sinistra ha finto di alzare la testa, il cdr di “Repubblica” si è dissociato dall’articolo definendolo “classista” (con tutti gli aggettivi che avrebbero potuto usare), essendo i dipendenti di quel foglio abituati a difendere i deboli, come da sempre hanno insegnato lo svizzero De Benedetti e poi lo yankee Elkann, tra un trasloco fiscale e l’impegno sociale.

Al coro indignato si è aggiunto l’ex premier Conte che ha domandato: ”Ma in che mondo vive Alain Elkann?”, che è poi lo stesso interrogativo che molti si ponevano e ancora si pongono ascoltando le conferenze stampa dell’avvocato pugliese (zona di arrivo del treno Italo di cui sopra), sodale di lady Schlein così vicina al popolo di cui conosce i dolori e soprattutto i colori.

Un circo di sofferenti, risvegliatisi alla lettura di un testo che meriterebbe una locandina da cinematografo “Quel treno per Foggia”, passando da Glenn Ford a Russell Crowe ad Alain Elkann, attraverso le terre del sud, da Benevento al Tavoliere.

Un cast, quest’ultimo, ridicolo, così come la qualità dello scritto, una giornata a riempire i giornali di opinioni cadute dall’alto di una Mont Blanc o di un MacBook, con il governo in fibrillazione per questa imprevista svolta letteraria, forse editoriale.

Chissà come sta vivendo queste ore il padre padrino del figlio padrone, chissà quei manigoldi del treno quanti altri luoghi avranno insudiciato e femmine strapazzate.

Il figlio avrà telefonato al padre, chiedendogli perché mai quel viaggio in Puglia? Il Direttore si sarà pentito della pubblicazione del testo, proprio nel giorno del centenario degli Agnelli-Juventus, celebrazione però evitata dallo stesso giornale, per snobismo o dimenticanza senile? Ai poster l’ardua sentenza.

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