MILANO DA BERE E DA SUICIDIO

di GIORGIO GANDOLA – «Non è un liberi tutti». Nella sua paciosa saggezza l’infettivologo Massimo Galli non gioca a nascondino. E parla direttamente a quei milanesi che, scambiando la Fase 2 per la fiera degli «Oh bei, oh bei», hanno deciso di rivivere i fremiti dell’apericena sui Navigli. Il luogo è magico, le pizzerie da asporto sono aperte, quindi che problema c’è? Ed ecco, giovedì al tramonto, le foto che tutti temevano. Con segretarie, webmaster, maghetti della finanza e contesse scalze che si attardano attorno al panzerotto, al gelato al mughetto, alla birra con retrogusto di mandarino.

Si chiama happy hour e non prevede distanziamento sociale. Mascherina abbassata sul mento, telefonino davanti al naso, passeggio relax, biciclette in slalom gigante fra i pedoni. Capannelli percepiti. Roba da depressione di ritorno, anche se i bar con possibilità di asporto non sono stati riaperti per far prendere aria ai locali, quindi è perfino scontato che le persone ne facciano uso.

Sembra la Milano di una volta, quella che #nonsiferma in modalità budello di Alassio, quella che perfino Nicola Zingaretti conosceva bene quando venne a contagiarsi in libera uscita. È stupefacente notare come questi milanesi, a differenza di centinaia di migliaia di concittadini responsabilmente prudenti, non si siano resi conto che negli ultimi due mesi è accaduto qualcosa di eccezionale e per ora irreversibile.

Con loro, sui Navigli, c’è ancora il Covid-19 che aspetta di prendere la corriera a due gambe per tornare a infettare le nostre vite. Ecco perché il professor Galli, primario all’ospedale Sacco, il Fort Apache di Milano contro il virus, alza la voce: «La città rischia di diventare una bomba. Tanti sono stati chiusi in casa con la malattia, quindi abbiamo infettati che tornano in circolazione. Sono necessaria prudenza e controlli». Parole sante, parole al vento. Ci sono quelle foto e quei video.

Perché le prove sono lì, blow-up. S’indigna anche il sindaco Giuseppe Sala, lui che di Spritz se ne intende, e tuona nel videomessaggio quotidiano: «Le immagini sono vergognose, non permetterò che quattro scalmanati senza mascherina mettano in discussione tutto. O si cambia o chiudo di nuovo i Navigli. Potevamo essere inconsapevoli due o tre mesi fa, anche io lo sono stato, ma non ora». Poi annuncia: «O le cose cambiano oggi, non domani, oppure prenderò provvedimenti, chiudo Navigli e asporto. Poi lo spiegate voi ai ristoratori».

Una reazione al tempo stesso naturale e singolare perché sta parlando il sindaco di Milano, non un turista giapponese. Lo stesso sindaco che manda i droni nei parchi, che fa distanziare dai vigili i camminatori solitari. Ma che non ha pensato di spedire preventivamente gli agenti sui Navigli. La filosofia del dopo non è mai vincente.

Ci sono quelle foto pubblicate da molti giornali e siti, testimonianze di una possibile follia. Perché insistiamo sui clic? Perché è vero che i milanesi dovrebbero evitare di ripartire con lo sparo dello starter (metà dei morti italiani sono in Lombardia), ma in giornata si fa largo un’ipotesi bizzarra: alcune scene da suk sarebbero manipolate. Prospettive, teleobiettivi, immagini schiacciate, misurazioni diverse dei ponti, parametri da servizi segreti sui 600 metri incriminati per creare il sospetto di un mezzo fake. Non ci sarebbe di che stupirsi: suscitare scalpore è una bassezza in voga, colpevolizzare i cittadini è uno sport che in questi mesi sostituisce il calcio. E qualche abitante dei Navigli, intervistato, dice: «Mai vista tanta gente, è falso». Il dilemma va sciolto.

Sindaco Sala, invece di invocare punizioni divine da Marte, mandi i vigili. A chiudere i Navigli o anche solo a fare due foto con l’iPhone. Per curiosità.

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