di GIORGIO GANDOLA – Travolti dalla griffe, fuorviati dal brand. È il destino del nostro Paese prigioniero della moda, del bello, dell’estetismo da spot dalle Dolomiti a Marzamemi. Prima il diavolo veste Prada, poi la sostanza. Purtroppo accade anche dentro la tempesta del virus cinese; a un certo punto a Palazzo Chigi dev’essere scattato il neurone fashion. E dopo i padiglioni con le primule disegnati da Stefano Boeri, ecco il primo di una serie di spot da festival di Cannes per convincere gli italiani a vaccinarsi. Stupendo ma surreale nel giorno in cui si viene a sapere che stanno già finendo i vaccini.
Ci risiamo con i contorni mentre la pietanza brucia nel forno. La firma (Giuseppe Tornatore) e il supporto musicale (Nicola Piovani) sono da Oscar, il titolo è dentro il filone emozionale (“La stanza degli abbracci”), il ritorno mediatico è di entusiasmo diffuso. Madre e figlia abbracciate a un cellophane mentre il Covid tende a scomparire nel vento. E la donna più anziana che dice: “Devi volerti bene”. Intenso.
Il problema è che stanno per finire i vaccini, ne arrivano con il contagocce, Pfizer ha annunciato un taglio. E il supercommissario Domenico Arcuri, che sognava di addormentarsi al cinema, dovrà stressare i fornitori per non vanificare la rincorsa delle regioni. A proposito, dopo la partenza lenta la Lombardia è in testa con quasi 200.000 vaccinati (il 74% delle dosi ricevute, nella media nazionale) e con l’Emilia Romagna seconda a un giro (118.000).
Abbiamo lo spot e abbiamo i padiglioni floreali presentati a suo tempo con il sottofondo del “Nessun dorma” cantato da Pavarotti (poteva mancare?), contrappasso involontario ma chiarissimo: sveglia con i vaccini sennò le primule appassiscono vuote.
Perché la campagna per convincere gli italiani a vaccinarsi avrebbe un senso se ci fossero i capannoni refrigerati colmi di dosi salvavita e la gente – scettica o male informata o in modalità Brigliadori – non li volesse neppure vedere. Ma lo show per indurre ad accettare una medicina che i cittadini non possono assumere (il 78% se lo farebbe iniettare fra un’ora) è estetismo straniante.Oggi la campagna servirebbe per fare incetta di vaccini, non per convincere la gente.
Arrivano meno dosi perché Pfizer ha fatto la mossa del cavallo. Il certificatore europeo Ema ha deciso che ogni fiala non contiene più cinque vaccini ma sei (ha scoperto che basta meno liquido per ogni paziente), l’azienda si ritrova ad avere venduto più dosi rispetto a quelle pagate e ha deciso di frenare. Business is business, ci sono contratti da rivedere. E torna d’attualità la teoria della concessione gratuita della licenza a tutte le farmaceutiche per raddoppiare la produzione dimezzando i tempi. Filosofia nobile dentro lo tsunami di una pandemia planetaria, ma inaccettabile da parte dei colossi del ramo. È la famosa solidarietà globalista.
Nel frattempo noi siamo agli spot di Tornatore e ai tendoni fashion, allo spot per convincerci di una cosa che vogliamo già da soli. La concretezza non è il nostro forte. Ricordate le hostess di Alitalia con le divise di Armani mentre la compagnia di bandiera perdeva mezzo milione al giorno?
Aggiungo un aneddoto personale. Vent’anni fa ad Auckland, Luna Rossa sfidò i neozelandesi di Black Magic nella finale di Coppa America (il ricordo arriva dopo aver visto i tremendi zanzaroni sul pelo dell’acqua in questi giorni). Durante gli allenamenti i marinai italiani vestiti Prada erano stupendi, uscivano in mare perfetti come modelli nei loro giubbetti griffati, non sbagliavano una manovra, sembravano ballerini del Bolscioi.
Un giorno andai a sbirciare i neozelandesi: maglietta nera, barba sfatta, birra facile, tatuaggi da pirati dei Caraibi stropicciati dalle onde e dal vento. Fashion contro sostanza: fu cinque a zero per loro.
Ecco, tutto qui. Emozioniamoci pure nella solita ricerca del bello, ma teniamo la barra dritta. L’Italia non “rinasce con un fiore” come ci hanno spiegato, rinasce con i vaccini. Stiamo sul pezzo, andiamo a prenderli.