MEGLIO ISOLARSI CON SPOTIFY CHE ASCOLTARE UN DITTATORE

Gli aggiornamenti dalla guerra riprenderanno dopo la pubblicità. Anzi, scusate: gli aggiornamenti dalla guerra andranno in onda durante la pubblicità. Sarà una catena di marchi, infatti, a strangolare la Russia. Ci sono siti impegnati in questi giorni in una precisa contabilità dei grandi nomi internazionali del commercio che hanno deciso di sospendere la propria attività a Mosca e dintorni. Putin bombarda Kiev? E noi gli spegniamo Netflix. Spinge le sue divisioni verso Odessa? Si provi adesso a comprare il dvd di “Rambo 3” su Amazon.

L’assedio dei marchi alla Russia è ormai imponente, tanto che le compagnie che volessero aggiungersi devono ormai accontentarsi di un posto in terza o quarta fila. Per esempio: Coca-Cola, Pepsi e Starbucks hanno chiuso i rubinetti, per cui approvvigionarsi di caffeina oggi in Russia è problematico. Inutile, poi, sarebbe mettere le mani su una lattina di Coca visto che non si può più accompagnarla con un burger di McDonald’s. Non dubitiamo che la Russia soffrirà per le ristrettezze imposte dall’assedio commerciale, ma bisogna riconoscere che ne uscirà con le arterie ringiovanite.

O forse no, perché proprio l’altro giorno Biden in un discorso da mettere in bacheca accanto a quello pronunciato da Kennedy davanti al Muro di Berlino e a quello di Roosevelt circa “la paura della paura stessa”, ha annunciato il bando delle importazioni dalla Russia di vodka, caviale e diamanti. Senza Coca e senza Pepsi, i russi dovranno buttarsi ora sulla vodka – cosa che hanno sempre fatto con una certa indulgenza -, non fosse altro per smaltire il sovrappiù di produzione. Tra l’altro, dopo la bevuta, correranno pochi rischi di andarsi a schiantare contro un palo: Ford, General Motors, Nissan e Toyota hanno tutte chiuso la propria attività. Anche la Ferrari partecipa al boicottaggio e ha comunicato che donerà un milione di euro al fondo per gli aiuti umanitari all’Ucraina.

E noi? Noi aggiungiamo vodka, caviale e diamanti alle cose di cui dovremo fare a meno nei prossimi mesi. Tra queste, l’olio di semi, la pasta, la carne e, qualche volta, anche il pieno di benzina. Il problema della mancanza di diamanti potrà facilmente essere risolto facendo incastonare all’anello una tanica di gasolio (valore commerciale simile se non superiore), quello della vodka comporterà invece una grave crisi nella produzione di cocktail quali screwdriver, caipiroska, bloody Mary, cosmopolitan, white russian (ma chi oserebbe ordinarlo?) e, naturalmente, vodka Martini, una carenza che pare abbia spinto un innervosito James Bond a incalzare Boris Johnson perché si schieri con Putin.

Scusate: non è bello scherzare su cose di guerra. Ma alzi la mano chi non ha avuto l’impressione che questa economia bellica, dagli aspetti concreti e solo ventilati confusi tra loro in modo sconcertante, non presenti qualche aspetto ridicolo. Tutto fa brodo, d’accordo, ma aspettarsi che intere divisioni russe consegnino le armi perché private di abbonamento a Spotify suona quantomeno singolare.

E’ poi vero che la corsa al boicottaggio rivela, ancora una volta, quella prevalenza del marketing che ben conosciamo. Quale grande marchio, oggi, rischierebbe la sua reputazione continuando a fare affari in Russia? Fatti due conti, e messo il danno di immagine a confronto con i mancati introiti, in molti consigli d’amministrazione decidere sarà stata questione di un attimo.

Questa strana guerra in stile Carosello induce però a una riflessione: il fatto di scoprirci così interconnessi, legati tutti agli stessi marchi, omologati agli stessi servizi e perfino educati agli stessi cibi e alle stesse bevande, ci fa realizzare come il mondo si sia rimpicciolito e i popoli si siano avvicinati sulla base non di un’astratta fratellanza universale, ma in virtù degli stessi gusti e delle stesse abitudini, per frivole e banali (e a volte nocive) esse siano.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe giustamente lamentare per la vasta perdita di identità culturale che abbiamo sofferto, per l’appiattimento cerebrale imposto in particolare dalle grandi organizzazioni americane d’intrattenimento, ma l’altro lato della medaglia suggerisce come ritrovarsi distaccati da questo circuito non sia necessariamente un miglioramento, ma anzi costituisca in qualche modo un ripiegamento, un arretrare davanti al mondo, alle sue conquiste e ai suoi problemi. Meglio avere l’opportunità di passare davanti a un McDonald’s (e decidere di non entrarci) che passeggiare in un mondo che fa finta di essere migliore perché non può ammettere nulla di diverso da un’idea di sé spesso teorica, leggendaria e comunque sempre utile a qualcuno. Meglio insomma isolarsi con Spotify che ritrovarsi ad ascoltare tutto il giorno in tv le “verità” di un dittatore.

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